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Liberi di disinformare

Il regime e la par condicio

a cura di Giuseppe Candido

Con il termine Par condicio si intende quel complesso di norme che dovrebbero regolare la comunicazione politica e la parità di accesso ai mezzi di informazione. In particolare, il testo unico della radiotelevisione, individua come

Princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali1”.

Tra i Princìpi generali in materia di informazione e di ulteriori compiti del servizio pubblico nel settore radiotelevisivo, all’articolo 7, comma 2 lettera c., esplicitamente si prevede per legge che

l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità, nelle forme e secondo le modalità indicate dalla legge”.

E se ciò non bastasse, nella legge n°28 del 22 febbraio del 2000 recante specifiche “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”, al primo comma del secondo articolo, testualmente si legge che:

“Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’accesso all’informazione e alla comunicazione politica”.

Aggiungendo al terzo comma dello stesso articolo che dovrebbe essere garantita parità di condizioni (il condizionale lo mettiamo noi), perché nel dispositivo si legge che:

E’ garantita parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche”.

In pratica, la legge dovrebbe consentire parità d’accesso a tutte le forze politiche. A garanzia di tutto ciò ci sarebbe, appunto, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom). Anche qui, però, il condizionale è obbligo.

Perché se questo è il diritto, il fatto è un altro.

La disparità di accesso al sistema radiotelevisivo italiota è ormai palese anche ai profani. Abbiamo già scritto che senza informazione non c’è democrazia

Basta guardare i dati impietosi pubblicati dal Centro di Ascolto del sistema Radiotelevisivo italiano diretto da Gianni Betto e che, fino a qualche tempo fa, faceva consulenza alla stessa Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni. I dati tengono conto non del solo minutaggio, ma del totale degli ascolti consentiti alle diverse forze politiche.

Perché, come fa notare lo stesso Gianni Betto, un conto è andare in TV per due minuti alle due di notte, un conto è andarci, sempre due minuti, ma nell’edizione di pranzo o delle 20.00, che tutti guardano.

Se diamo un occhiata alla classifica degli ascolti consentiti alle varie forze politiche, non solo ci accorgiamo della disparità di trattamento tra le diverse forze politiche, ma ci si rende conto numericamente, tecnicamente, dell’attuale overdose che gli italiani stanno subendo dal turbo premier Matteo Renzi che ci entra in casa impegnato nel tirare la volata per il prossimo 25 maggio.

Quotidianamente ci bombarda di presenze e, quando non c’è lui direttamente, c’è qualche ministro del suo partito che fa vedere al Paese come e quanto questo nuovo PD di governo sappia fare.

Nel periodo tra il primo e il 29 aprile 2014, al vertice della classifica delle 20 forze politiche presenti nei TG c’é proprio il PD, con 556milioni di ascolti consentiti, pari al 18% dei 3 miliardi e 92milioni di ascolti consentiti totali.

Segue il governo che, nel complesso tra ministri e sottosegretari, nello stesso periodo, ha avuto 497milioni di ascolti consentiti, pari al 16,1% del totale.

Il Movimento 5 Stelle che non può certo lamentarsi è al terzo posto, dopo PD e Governo, con ben 463milioni di ascolti consentiti (15,0%); segue Forza Italia, talora erroneamente indicata ancora come PDL, con 452milioni di ascolti consentiti nello stesso periodo e pari al 14,6% del totale.

Al 5° posto rispunta Matteo Renzi che, come Presidente del Consiglio, per fare le sue promesse futuribili oltreché per le azioni di governo realmente realizzate, gli sono stati consentiti ben 215milioni di ascolti, pari al 7% del totale.

Bisogna scendere fino al 16° posto della classifica per trovare i Radicali italiani a cui sono stati consentiti, nello stesso periodo, 26milioni di ascolti, pari allo 0,9% del totale degli ascolti consentiti nei TG del servizio pubblico alle diverse forze politiche. Erano al 20° posto sino a qulche giorno fa con soli 4 milioni di ascolti, ma hanno recuperato un po’ solo dopo che Marco Pannella è stato operato alla aorta addominale ed ha ricevuto la telefonata di Papa Francesco.

I dati del Centro d’Ascolto non sono poi così diversi da quelli sul pluralismo radiotelevisivo forniti dall’Osservatorio dell’informazione radiotelevisiva di Pavia che sono utilizzati dall’AGCom

Emma Bonino, gli italiani hanno dimenticato chi sia. E così si spiega come ha fatto a prendere solo 41 preferenze, quando da ministro nel Governo presieduto da Enrico Letta, è stata candidata alle regionali in Lucania. Il regime degli ascolti democratici, potremmo chiamarlo ironicamente.

Sappiamo bene quanto questi ascolti poi si rifletteranno sul risultato elettorale. Con i dati sugli ascolti consentiti agli italiani per le diverse forze politiche, si possono tranquillamente fare delle attente ed oculate previsioni sui risultati, migliori di quelle fatte generalmente coi sondaggi tradizionali che intervistano un migliaio di persone o poco più. Potrebbe essere un suggerimento alle società dei sondaggi che, abbiamo avuto esperienza, non sempre ci azzeccano con le loro telefonate a campioni di mille persone, irrisorio rispetto agli aventi diritto al voto.

Già in passato il Centro d’Ascolto ha dimostrato la strettissima correlazione, quasi scientifica, esistente tra presenze televisive e risultato elettorale: più un partito ha la possibilità di farsi conoscere ai cittadini più questo avrà la garanzia del risultato elettorale.

È vero: la presenza in TV non basta per prendere voti, ma è altrettanto vero che – come giustamente nota Gianni Betto sul blog del Centro d’Ascolto – “se non si è presenti in Tv, si è sconosciuti al cittadino e questi non ha modo di conoscere, valutare, scegliere e meno che mai votare”.

Questo è regime. Un sistema dell’informazione di regime dove, lottizzato com’è dai partiti proprio nell’ottica di garantire il pluralismo, il pluralismo non si sa più che cosa sia.

È questa la “parità di trattamento e di imparzialità” che la Rai garantisce nei TG ai suoi utenti, nonostante li obblighi a pagare il canone propri in quanto servizio pubblico utile a garantire pluralismo. Per non parlare, poi, delle trasmissioni dei Santoro e dei vari Ballarò: c’avete mai visto un Radicale?

Tranquillamente possiamo affermare che il sistema radiotelevisivo italiano così come è concepito non soltanto non informa in modo pluralistico su tutti i soggetti in campo, ma è in grado di formare le opinioni. Non stranitevi, quindi, se i Verdi Europei in cui è candidato Angelo Bonelli non faranno il quorum.

http://blog.centrodiascolto.it/content/tempo-di-parola-e-ascolti-nei-telegiornali-rai-del-periodo-1-29-aprile-2014

Ascolti sui tempi di parola nei TG dal 1 al 20 aprile 2014, fonte Centro d’Ascolto

Note:

1Articolo 3 comma 1, D.Lgs. 31 luglio 2005, n.177 – GU n°208 del 7/9/2005

Ultime dati dal Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva
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L’informazione radiotelevisiva del Regime

Beppe Grillo, in conferenza stampa alla camera il 15 aprile scorso, partendo dall’abolizione di equitalia, ha fatto un’analisi sull’informazione coincidente – per molti versi – con quella da anni fatta da Marco Pannella che, proprio per documentare tutto ciò, ha addirittura creato – nell’ambito della galassia di associazioni radicali – il “Centro di Ascolto per l’informazione radiotelevisiva” diretto da Gianni Betto. Quando Grillo parla di democrazia in pericolo e di libertà della menzogna che in questo Paese vige “grazie ad una stampa” che, testualmente, definisce “di regime”, non ha tutti i torti e non c’è differenza con quella “esagerata” e “pannelliana” che da anni è l’analisi dei radicali.

Se siamo ridotti ad essere al 70° posto nelle classifiche mondiali per la libertà di stampa, una parte della colpa ve la dovete assumente anche voi“, tuona Grillo ai giornalisti.

Non sarà un caso se, per l’attento Massimo Bordin, il 16 di aprile, la prima pagina di Stampa e Regime, la rassegna stampa che da anni conduce da radio radicale, la faccia l’articolo Dispar-Condicio sulla rubrica Ri-Mediamo curata per Il Manifesto da Vincenzo Vita, senatore del PD, giornalista e già sottosegretario presso il ministero della comunicazione. Ve lo riportiamo di seguito, integralmente.

Dispar Condicio di Vincenzo Vita

(pubblicato nella rubrica RI-MEDIAMO de Il Manifesto del 16 aprile 2014)

Dura lex, sed lex. Almeno, dovrebbe. Sempre per usare il latino, il monito dovrebbe valere anche per la “par condicio”. Vale a dire il rispetto delle pari opportunità tra i diversi soggetti nelle presenze radiotelevisive, soprattutto in campagna elettorale. Ora che si avvicinano scadenze delicate come il voto europeo e quello amministrativo, lanciare un grido di allarme è doveroso. “É tutto sbagliato, è tutto da rifare”, diceva il compianto Gino Bartali. Appunto.

Partiamo dalla esagerata esposizione del presidente del consiglio che, come emerge dall’accurato monitoraggio svolto dal Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva assomma – nel solo mese di marzo – il 18,1% del tempo in voce nei telegiornali della Rai. Tempo che si dilata, secondo la società di rilevazione “Geca Italia”, a quasi cinque ore al giorno nel periodo che va dal 17 al 31 marzo: se si considera l’intero spettro, pubblico e privato, digitale e satellitare. É vero che siamo agli atti iniziali del nuovo governo, tuttavia è bene suggerire a Matteo Renzi di non emulare il vecchio tycoon Berlusconi. Anzi.

L’altra evidente anomalia, se si prendono in esame le ricerche fatte dalla stessa “Geca” nel mese di marzo per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è il costante sostegno privilegiato offerto dalle reti Mediaset al partito del proprietario, con oltre il 36% del tempo di parola. E pure il servizio pubblico non scherza. E mette in luce il Centro d’Ascolto, che opportunamente calcola la fruizione piuttosto che il mero minutaggio, il divario crescente tra i i due partiti del passato bipolarismo imperfetto italiano e il resto del mondo. 5 Stelle segue con meno del 10%, precipita a uno scarso 4% Sinistra, ecologia e libertà, impropriamente conteggiata come l’intera “Lista Tsipras”. Fino allo 0,2% dei radicali, che pure stanno facendo battaglie importanti e significative sulle carceri, la droga, il funzionamento della giustizia.

In verità, emerge un vizio di fondo del e nel rapporto tra media e politica, che si accompagna allo storico tema del conflitto di interessi dell’ex cavaliere, apparentemente uscito di scena, ma tuttora protagonista diretto o indiretto. Lo schema cui si ispira larga parte dell’informazione politica è ancorato al sogno bipolare, che nella realtà non esiste da tempo. Alla crisi della tradizionale nomenclatura dei partiti è seguito un universo assai disarticolato, un arcipelago cui dare – comunque – rappresentanza e rappresentazione. La comunicazione radiotelevisiva insiste su di un bene comune, l’etere, che deve essere libero e aperto. Senza discriminazioni. É il senso ultimo della legge n.28 del 2000 sulla citata ”par condicio”, ingiustamente appesantita dai suoi mille regolamenti applicativi, ultimo dei quali il testo della delibera 138/14/Cons della medesima Agcom. Quest’ultima, tra l’altro, appare troppo ancorata ai vecchi rapporti di forza, mentre le pari opportunità riguardano allo stesso modo tutti.

Il discorso si allarga ai talk show, che hanno letteralmente invaso l’informazione politica, come ha sottolineato in uno studio recente Alberto Baldazzi, riprendendo un’analisi di Francesco Siliato. Arena ormai prelibata della narrazione politica, i talk andrebbero verificati per il loro specifico, che sfugge al “minutaggio”. Basti un dato: nella stagione 2013 su 833 ospiti, 93 hanno raggiunto quasi la metà delle presenze totali. Si tratta di 48 personalità politiche e di 37 giornalisti, che accompagnano la nostra dieta mediatica, dal risveglio al sonno. La televisione come Nirvana, scriveva anni fa Hans Magnus Enzensberger.

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