di Giuseppe Candido
E’ ormai certo: il 2009 sarà ricordato come l’anno della crisi. Crisi delle banche, crisi dell’economia, crisi dell’occupazione. E a ricordare che “La crisi si supera se le banche fanno credito” è stato il Presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet. Ma i rigori delle banche già in passato avevano gettato nelle mani degli usurai piccole e medie imprese. E’ la storia ad insegnarcelo. Al sud e in Calabria, in particolare, la disoccupazione tocca oggi tassi a due cifre raggiungendo record storico negativo per i giovani che, se non s’interviene, saranno destinati, per fame e per miseria, al “brigantaggio” moderno. Servirebbe un rilancio dell’economia, servirebbero riforme ma il sistema creditizio, nel mezzogiorno, è ancora quello maggiormente oneroso, un sistema che agli imprenditori in crisi chiede il rientro immediato dei fidi. Una regione, la nostra, con livelli di disoccupazione doppi rispetto alla media nazionale, con tassi d’interesse sul credito alle imprese superiori al 9% a fronte di quelle del centro nord dove il costo del denaro è poco superiore al 6%. Un sistema creditizio, quello calabrese, che, addirittura, come ricordava qualche settimana addietro l’editoriale di Guido Talarico, direttore de “Il Domani della Calabria”, non si degna neppure di partecipare ai bandi della Comunità europea per la distribuzione di fondi capitale a tassi agevolati nelle aree depresse per non perdere occasione, assai più lucrosa, di speculare prestando i soldi a tassi quasi usurai. Ed è certo che la crisi “non ha ancora dispiegato pienamente i suoi effetti e ciò produrrà disorientamento, conflitti, rivolgimenti”. Nella nostra regione, non lo diciamo per piangerci addosso, se non vi fossero i finanziamenti europei, che però troppo spesso finiscono tra le mani di prenditori anziché di imprenditori veri, molte piccole e medie imprese calabresi sarebbero rimaste nelle mani della sola usura. Ma il problema non è certo nuovo e che la crisi si risolva “Se le banche fanno il credito” era anch’esso noto. Oltre 120 anni or sono, l’editoriale dell’Avvenire Vibonese del 15 Marzo del 1887, allora diretto da Antonino Scalfari nonno del più noto Eugenio, portava un titolo chiarissimo e inequivocabile: “I Rigori delle Banche”. Un titolo ed un editoriale in cui denunciava fortemente come “L’assoluta deficienza di capitali gittò i nostri proprietari nelle ingorde fauci degli usurai che, come vampiri, succhiarono ogni vitale alimento economico”. L’editoriale cercava d’interpretare la gran maggioranza dei proprietari terrieri e dei commercianti del circondario in cui la rivista veniva distribuita, manifestando le “generali preoccupazioni in vista dei provvedimenti di soverchio rigore, adottati dal Banco di Napoli e della Banca Nazionale, col non accettare nuove cambiali allo sconto, e col richiedere nella rinnovazione degli effetti in scadenza il pagamento di una quota rilevante del valore degli stessi”. Soverchi rigore che ancora oggi si manifesta. Poco più di un anno fa, nell’ottobre del 2008, Cosimo De Tommaso, imprenditore calzaturiero calabrese titolare di una azienda con 50 dipendenti e oltre 3 milioni di euro di fatturato annuo, lanciò un grido di allarme sul sistema creditizio bancario calabrese che purtroppo è rimasto inascoltato: “In un momento critico per l’economia come quello attuale – scriveva Cosimo De Tommaso nella sua testimonianza al quotidiano della confindustria – il sistema finanziario sta mettendo in atto una serie di “accorgimenti tecnici” che impediscono, in particolare modo alla piccola azienda, di poter operare agevolmente nel sistema creditizio. L’accesso al credito è ormai di fatto bloccato e gli sconfini temporanei di brevissima durata (sempre consentiti) sono tassativamente proibiti”. Qualcuno potrebbe chiamarli corsi e ricorsi della storia economica. A fine ‘800 la produzione della terra, allora unica risorsa delle nostre Calabrie, si faceva “ogni giorno più scarsa, le attività industriali e commerciali languenti e distrutte dal deplorevole abbandono in cui l’aveva lasciata il Governo di allora, senza ferrovie, senza strade, senza porti, senza scuole, senza un ricordo benevolo dei nostri bisogni e delle nostre ristrettezze. (…) Ora gli improvvisi rigori che le banche son costrette di adottare, riescono non solo gravosi, ma spesso rovinosi. Il domani sarà foriero di gravi sciagure, se questa speciale condizione economica non sarà convenientemente valutata da coloro che son preposti alle aziende Bancarie”. “Comprendiamo – anche noi come scriveva Antonino Scalfari oltre un secolo fa – che questi poderosi e benemeriti istituti di credito, nell’adottare siffatti provvedimenti, vi furon costretti da ragioni gravi e d’indole generale, e dai timori che suscitano certi punti neri, anzi certi oscuri nuvoloni che si veggono scorgere all’orizzonte politico; ma noi preghiamo coloro che stanno a capo degli istituti medesimi di considerare anch’essi con amorevole cura i bisogni locali, e le ristrette condizioni economiche, in cui si dibattono coloro che abitano questa regione, a cui danno pare che congiurino la natura e gli uomini”. Intanto, un augurio per un 2010 più “amorevole” per tutti. Banche comprese.