Tutti gli articoli di Filippo Curtosi

In ricordo di Pierpaolo: “un grande poeta civile”

di Filippo Curtosi

Pubblicato su Calabria Ora il 2 novembre 2008

Pierpaolo Pasolini - Foto Flickr
Pierpaolo Pasolini – Foto Flickr

Il tempo corre davvero in fretta, se è vero che sono già trascorsi trentatrè anni dalla morte che il 2 novembre del 1975 colpi Pasolini e l’intera cultura italiana. Lo scrittore venne trovato ucciso in uno spazio periferico presso Fiumicino tra baracche e rifiuti.
Nel suo correre in fretta il tempo rischia di portarsi via anche i fatti più rilevanti permettendo, a chi si cimenta con le ricorrenze, di fornire una versione in parte distorta e in parte oleografica di un uomo che meriterebbe invece ben altra considerazione.
E’ stato cosi purtroppo per quasi tutti coloro che hanno scritto su Pasolini e su quella tragica giornata riproponendoci tante favole. Lui, ne “Il romanzo delle stragi” diceva:
“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia, il mistero”.

La scomparsa di Pier Paolo Pasolini, non è la scomparsa di un intellettuale, di uno scrittore qualsiasi, ma la scomparsa di una storia, di una generazione di uomini e di Poeti militanti che, con il proprio operato hanno segnato un pezzo importante di storia politica e culturale del nostro Paese. Se ne è andato davvero un pezzo importante del Novecento democratico di questo paese.
Certo si rischia di essere retorici ricordando una stagione che adesso sentiamo davvero tramontata con Pier Paolo Pasolini, specialmente chi come noi giovani studenti hanno avuto la fortuna di ascoltarlo in qualche bar di Monteverde assieme a Ninetto Davoli . Poeta, scrittore, regista, giornalista prestigioso ed inquieto . Molte cose sono state scritte e saranno scritte in futuro su di lui. La cultura del secolo scorso è stata notevolmente influenzata dal pensiero di Pier Paolo Pasolini: dallo scontro tra passione e ideologia, tra neocapitalismo corruttore e desistenza rivoluzionaria, queste sono le battaglie contro e senza speranza in quanto sosteneva che il dissidio tra religiosità e marxisismo porta alla separazione.
Con Pasolini si poteva discutere tutto e si poteva dire tutto perché era un uomo di grande statura morale. Certa stampa lo ha voluto trascinare da una parte all’altra e quasi sempre lo ha classificato di sinistra e questo per la verità è falso perché fu severo con la sinistra ufficiale del tempo : raccontava storie di miserie che al senso della pietà cristiana affiancava la dimensione della tragedia esistenziale, questo si: una penna libera e sapiente come quella di Barbara Spinelli ricorda di Pasolini molte virtù: “i lavori poetici e cinematografici, la libertà, i pensieri profondi sulla guerra, sulla crisi delle democrazie, sull’imprescindibile dialettica fra destra e sinistra. Ancora i giudizi rigorosi sulla peculiare decadenza delle istituzioni repubblicane: decadenza appunto che a parere di Pasolini era cominciata negli anni ‘60 con l’avvento di quel nuovo centrosinistra, che si alimentava di ” democrazia” dell’applauso.
Quando parlava con gli studenti al Circolo del Cinema a Vibo Valentia o in qualche assemblea -lo ricordo come se fosse ora presente- lo faceva scandalizzando. Quello che Pasolini diceva, lo si poteva stampare, rigo per rigo; la sua cultura e la sua dirittura politica, poetica e filosofica erano tali che ognuno doveva fare i conti con lui. Non vi è dubbio che nel multiforme complesso della produzione di Pasolini la sua “dottrina” politica segna nel modo più spiccato l’originalità non solo dello scrittore ma dell’uomo. Poesie, lettere, polemiche, interventi nel dibattito politico e culturale di quegli anni. Nico Naldini, suo cugino scrittore, nella sua biografia cosi scriveva: ” la figura pubblica di Pasolini che si è andata via via costruendo, anche contro i suoi desideri, continua ad esporlo ad ogni sorta di attacchi, dai quali non si ripara mai, anzi egli stesso li provoca con insistenza. Sia che si tratti di un dibattito su un libro o della presentazione di un film, scende dalla cattedra per controbattere con lucidità ossessiva le provocazioni di quella parte del pubblico che lo confuta con un delirio di tensioni e di violenza. Qualsiasi occasione basta scatenare l’aggressività di questo pubblico”. Gian Carlo Ferretti, curatore dei “Dialoghi 1960-65″ ci parla di un intellettuale carismatico, un autore trasgressivo, un bersaglio predestinato dai suoi scritti, dai sui comportamenti pratici e dall’accettazione consapevole del rischio, lo scenario di quella notte… un delitto omosessuale o politico che rimanda ad un clima persecutorio. La morte di Pasolini diventa, conclude Ferretti, soltanto l’ultimo tragico episodio di quella lunga vicenda, nel pieno della stagione di massima sfida e di massimo rischio.
Il 2 Novembre la morte, poi il funerale: Campo de’ Fiori con le bandiere rosse ed il discorso di Alberto Moravia che dice: “Era un grande poeta civile e non ne nascono tanti in un secolo”.

Share

Credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Intervista a Vittorio De Seta

E sul caso Eluana Englaro cita Gesù : “Voglio misericordia e non sacrificio”. In Sardegna: “c’era la cabadora”

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

22 novembre 2008 Intervista a Vittorio De Seta

.. Sono per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo”. ..Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto “il Regno di dio è in noi” di Tolstoj. Con Pasolini ha in comune la formula “Sviluppo senza progresso”

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

L’8 settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo gira a Pentedattilo, in provincia di Reggio Calabria, il cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione: “Articolo 23.Pentedàttilo” che sarà presentato il prossimo primo dicembre al Teatro Argentina in Roma.

Nato in Sicilia (Palermo, 1923) da nobile famiglia di origini calabresi, il maestro del film documentario italiano vive a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, dove cura le sue tenute. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Architettura nel ”41 fu allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno. Dopo l’armistizio fu internato in Austria dai nazisti. Liberato nel ”45 ricomincia a studiare e inizia ad occuparsi di fotografia e di cinema. Nel ”53 collabora come aiuto regista ne “Le village magique” di Jean Paul Le Chanois e, sempre nello stesso anno, affianca Mario Chiari in un episodio di “Amori di mezzo secolo“. Il suo nome, nel dizionario del cinema dei registi mondiali dei tipi Enaudi, sta tra quelli di De Santis e De Sica. A partire dal ”54 sino al ”59 scrive e dirige una serie di documentari cortometraggi considerati oggi veri capolavori del cinema mondiale: Lu tempu di li pisci spata (1954 min 10′.04” ); Isole di fuoco (1954 min 09′.02” ); Surfarara (1955 min 09′.39”); Pasqua in Sicilia (1955 min 08′.12” ); Conrtadini del mare (1955 min 09′.24” ); Parabola d’oro (1955 min 09′.39” ); Pescherecci (1958 min 10′.02” ); Pastori di Orgosolo (1958 min 09′.54” ); Un giornoin Barbagia (1958 min 09′.27” ); I dimenticati (1959 min 16′.56” ). Straordinari documenti originariamente in Ferraniacolor e Cinemascope oggi digitalizzati e ripubblicati ne “Il mondo perduto” assieme a “La fatica delle Mani”,una raccolta di scritti su Vittorio De Seta a cura di Mario Capello che accompagna il dvd e in cui spiccano “La sabbia negli occhi” di Roberto Saviano, “su Banditi a Orgosolo” di Martin Scorsese, “una conversazione con Vittorio De Seta” di Goffredo Fofi, “Il metodo verghiano di De Seta” di Vincenzo Consolo, “De Seta: la Grande del documentario” di Alberto Farassino, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” di Marco Maria Gazzano, “Un lungo viaggio verso il mondo perduto” di Gian Luca Farinelli. Nel ”61 De Seta esordisce col 35 mm nel lungometraggio con “Banditi a Orgosolo” ( Italia, 1961 – 98 min., 35 mm b/n). Seguono “Un uomo a metà” ( Italia, 1966 – 93 min., 35 mm, b/n) osteggiato dalla critica ma che ottenne riconoscimenti a Venezia e lodi da parte di Pierpaolo Pasolini e Moravia,  “L’invitata” ( Italia-Francia, 1969 – 90 min., 35 mm, col.); Diario di un maestro” ( Italia, 1973 – 270 min. 4 episodi , 16 mm, col.) evidenzia la problematica della scuola italiana e il vero scopo della scuola non finalizzata all’ottenimento di una promozione o di un diploma ma piuttosto come preparazione alla vita, la formazione del carattere e della personalità. Tutti temi ripresi in “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.) con cui De Seta, rispondendo a chi gli sottolineava  dopo l’uscita di Diario che quel maestro era finto e che non poteva attuarsi quel tipo di scuola, descrive quattro casi di scuola d’avanguardia, in Lombardia e in Puglia. Successivamente De Seta gira “La Sicilia rivisitata” ( Italia, 1980 – 207 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Hong Komg, la citta dei profughi” ( Italia, 1980 – 135 min. 3 episodi , 16 mm, col.), “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Un carnevale per Venezia” ( Italia, 1983 – 56′ min., 16 mm, col.). Con “In Calabria” ( Italia, 1993 – 83′  min., 16 mm, col.) ritorna alle tradizioni, al racconto della realtà ancestrale in cui un paese, un villaggio erano una comunità. In “Lettera dal Sahara” ( Italia, 2004 – 123′ min., col.) De Seta racconta l’immigrazione nel mondo di oggi con la storia di Assan, un senegalese sbarcato a lampedusa e che, in meno di sei mesi, risale l’Italia passando per Napoli, Prato, Torino e cambiando ogni volta lavoro. E sul lavoro che nel settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, gira in provincia di Reggio Calabria un cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione, il lavoro. “Articolo 23. Pentedàttilo” (Italia, 8 settembre 2008 – min. 05′ 49” , col) è un cortometraggio in cui immagini, musiche delle Calabrie ti accecano e raccontano. Pentedàttilo, a sud dell’Italia, è stato abbandonato dagli abitanti partiti in cerca del lavoro. Ma altri emigranti, ancora più poveri, arrivano a prenderne il posto.

Lo scorso 28 ottobre, Vittorio De Seta,  ha voluto farci l’onore di redigere la prefazione per “La Calabria”, una raccolta di canti sacri, leggende, canti popolari,tratti dall’omonima rivista di letteratura popolare edita in Monteleone, dal 1888 al 1902 e che gli scriventi stanno curando e stiamo per pubblicare.

Abbiamo pensato al maestro per la prefazione a questa  raccolta perché i documentari di De Seta, lodati dalla critica nazionale ed internazionale, non raccontano ma mostrano la realtà e ripercorrono, nel tempo che celebra il culto mediatico, il mondo perduto che fu non per esorcizzare o evadere la realtà ma per recuperare il senso delle cose dai segni, dai simboli ancora carichi di sacralità laica perché vere, umane.

Siamo andati a trovarlo in una giornata tempestosa, con il vento che piega la pioggia come le canne, per ringraziarlo della sua disponibilità e cogliendo l’occasione per fargli qualche domanda …..Antico e aspramente contemporaneo, la forza delle immagini dei cortometraggi che riescono a far parlare alberi, animali, vento,  mare, a tradurre in racconto il rumore, ora lieve ora travolgente della vita.

Lo incontriamo nella sua casa di Sellia Marina (CZ), facendo fatica a non distrarci dal nostro dialogo per guardare le sue cose,volti e corpi che diventano compagni di cammino.

D: Nella fase in cui si trovano oggi l’Italia e il mondo nella crisi globale, cosa è diventato oggi il lavoro?

R: Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero. Una volta il lavoro in un certo senso era creativo .. perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ….figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere.

D: Cosa ti piace di oggi?

R: Di oggi? E’ bellissimo voglio dire. Un trattore è una cosa bellissima, e non è che non si può usare. Non c’era bisogno di buttare tutto il resto. E’ un’incredibile imprevidenza da parte delle classi dirigenti. degli intellettuali. Nessuno ha dato l’allarme di questo. Che io sappia. salvo un americano: Torou, che a un certo punto ha detto che bisognava distruggere le macchine.

D: Finalmente hanno capito chi è Vittorio De Seta. In Italia, …

R: Adesso forse…, Saviano?

D: Guardando i cortometraggi di De Seta si ha la netta sensazione di conoscere il tempo nelle sue varie scansioni, di conoscere il vento, di vederlo, di assaporarlo, di sentirlo. Oggi è una giornata De Setiana.Abbiamo visto le canne piegate dal vento. Nel cinema di De Seta è la stessa cosa. I tuoi documentari ripropongono esperienze di vita. De Seta scandaglia il fondo delle cose e dell’animo umano della cultura popolare?

R: Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, che era proprio la storia dell’uomo come evoluzione lenta, è stata buttata a mare. Io faccio sempre il paragone, forse ne ho già parlato. Insomma, si va sempre indietro. Già si parla dell’Umo da 4 milioni di anni. Io dico: 4 milioni di anni sono 42.000 secoli; 42.000 secoli sono come i metri della maratona. Sono 42.195 metri. Il progresso prende gli ultimi due metri. Nessuno parla mai di questo. Il nostro cervello si era sviluppato lentamente fino al 1827 quando è entrata in campo la locomotiva, tanto per stabilire una cosa. E li c’è stato un movimento. Un’accelerazione esponenziale. Per cui io sento che noi non facciamo più fronte. La vita è proprio cambiata. I documentari ripropongono quell’esperienza di vita che poteva avere un uomo siciliano di cinquant’anni fa. E quindi quella di sempre. Mi segue? E quindi gli odori, i sapori, i suoni. Tutto. Noi siamo stati privati di questo patrimonio, in cambio del progresso. Però a questo punto io dico che il frigo e questo telefonino (prendendo in mano il suo cellulare) l’abbiamo pagati troppo caro. (minuti 4′:20”.11)

D: Maestro, hai conosciuto Pasolini?  Com’ era Pasolini?

R: l’ho visto 4 5 volte in tutto. Intanto molto generoso, molto anche impulsivo, diretto. Lui, ad esempio, quando ho fatto un uomo a metà che è stato letteralmente linciato da una parte della critica ma che è andata in corto circuito a Venezia, e poi adesso sempre meglio capisco perché, lui è intervenuto. Ha parlato di cinema di poesia. Anche Moravia aveva fatto una buona critica. Però non è servito perché l’hanno massacrato passando pure notizie false. Quello che più ho di più lui (Pasolini ndr) è la formula “sviluppo senza progresso” . Tutto il resto per esempio, leggendo quegli articoli del Corriere della Sera, ecco, dovrei rileggerli. Ma non c’è mai tempo. Mi sono ricomprato il volume di Gramsci, non si fa più in tempo a seguire, a capire. (minuti 1′:23”.17)

D: Maestro, con Moravia che rapporto avevi? Com’era Moravia

R: No, Moravia era bravo, lui faceva la critica sull’espresso.

D: E’ venuto in Sardegna?

R: No, lui dirigeva una rivista. “Nuovi argomenti” che, mi pare nel ’57 o ’58, ha pubblicato un’inchiesta di Franco Cragnetta che era un antropologo sociologo. F. Cragnetta aveva fatto “a Orgosolo” raccontando Orgosolo, raccontando la famosa disamistate a cavallo della guerra mondiale. Una faida interna al paese. E proponendo questo paese che era rimasto fuori dalla storia.

D: Lui era un’esistenzialista?

R: Moravia? I titoli, una noia. Io ripeto, non lo conosco bene. Non ho avuto il tempo. Io per esempio Purz non l’ho letto. Non ho fatto in tempo. Però qualche anno fa ho passato due anni a rileggere solo Tolstoj. Perché Tolstoj oltre ai romanzi ha scritto dei saggi morali bellissimi. Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto un libro di Tolstoj che si chiama “Il Regno di Dio è in noi“. Una frase che c’è nel vangelo.

D: Che rapporto ha con la fede De Seta?

R: Questo è molto complesso. Io non riesco a rinunciare alla ragione. Se la fede è rinuncia alla ragione allora non ho fede. Ho una grande devozione, come dire, un’ammirazione immensa per Gesù. Per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo. Cioè questa revisione, questo abbandono totale. Questa deve essere roba…, Tolstoj l’ha approfondito in questo libro che ho ma ma è in inglese e non riesco a leggere. Si chiama Critica della teologia dogmatica. I discorsi diventano troppo lunghi. In sostanza, Tolstoj mi ha insegnato che al di la della versione chiesastica, diciamo, di Gesù, della dottrina di Gesù. Che si riassume nel credo, che è stata annunciata a Nicea nel 300 d.C.. Al di la di questo, la dottrina di Gesù è un’altra cosa, contrasta enormemente.

D: Tu innamorato di San Paolo?

R: Si, si. Ma soprattutto di Gesù perché è stato falsato. Forse non si poteva fare altro. San Paolo lo stesso. Cioè praticamente: Gesù è un profeta. Infatti Lui dice(va) sempre: “è stato detto occhio per occhio ma, Io vi dico …..”. Quindi Lui era venuto a cambiare. Quella frase che c’è nel vangelo: “Sono venuto soltanto a compiere”. Non è vero. Però … nel cristianesimo c’erano le sette giudeo cristiane che hanno mantenuto il vecchio testamento. Però fra il vecchi e il nuovo c’era un contrasto enorme.  (minuti 4′:18”.05)

D: Riesci ad esprimere questo nei tuoi lavori ? Che Gesù è stato falsato?

R: E no. Io volevo fare, ma non ce la farò. Insomma, non tutto il vangelo, un film su una parte del vangelo per cercare di spiegare. C’è un grosso equivoco di base. Cioè la dottrina di Gesù viene sempre espressa come un qualche cosa di meraviglioso ma astruso, inattuabile, metafisico. Mentre invece no. Tolstoj mi ha insegnato che è profondamente razionale. Quando Gesù dice quei paradossi, che sembrano paradossi, “ama il tuo nemico”. In realtà è giusto, è vero. E la gente lo sente tant’è vero che a questa dottrina la gente aderisce. Però poi è invalsa la consuetudine di dire: va bene, però questi sono sogni, la realtà è un altra. E quindi, per esempio, il Male. la chiesa riconosce il male, mentre invece Gesù non lo riconosceva. Oppure lo riconosceva come diminuzione di bene, ecco, non come entità autonoma.

D: San Paolo in un certo qual modo ha divinizzato….

R: San Paolo ha dovuto fondare una chiesa che è un istituto secolare. Che è uno Stato oggi, che ha una guardia svizzera, una guardia armata. Gesù diceva che – quando manda in giro i discepoli –  che non dovevano portarsi neanche i sandali di ricambio. Neanche la bisaccia, forse neanche il bastone. Insomma, è differente nei vari vangeli. Li (nella chiesa ndr) abbiamo il Vaticano con la cappella sistina …. (minuti 2′:00”.86)

D: Parlando di nuovo di chiesa, lei diceva, raffigurava nelle sue parole una contrapposizione tra religione e religiosità sentita dalle persone. Oggi questo tema la chiesa lo ripropone per il caso  Englaro, come fu per Piergiorgio Welby..

R: Nel Caso?

D: Eluana Englaro, quella ragazza …

R: Si, e quello non l’ho seguito per niente.

D: In buona sostanza la situazione è la stessa cosa di Piergiorgio Welby….

R: Cos’era la sacralità della vita?

D: La sacralità della vita difesa fino all’ultimo tant’è che adesso in pratica si propone una petizione al Parlamento europeo per cercare di annullare tre gradi di giudizio più una sentenza della Corte costituzionale che già si sono espresse a favore di Beppino e della famiglia Englaro nella richiesta di veder rispettata l’autodeterminazione.

R: Detto proprio in soldoni. La chiesa quando dice così tradisce. Perché Gesù, credo che nel vangelo è riportato tre o quattro volte, Lui dice: “voglio misericordia e non sacrificio”. E’ tutto li. Mantenerla in vita è un sacrificio. Per lei (Eluana ndr), per la famiglia, per tutto. Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Perché è la cosa logica, è razionale. Non c’è niente di irrazionale, niente di astruso, niente di metafisico nella dottrina di ..(Gesù ndr). Se tutti facessimo così credo che vivremmo in pace meravigliosamente.

D: Nella cultura delle nostre tradizioni, come per il caso dell’aborto clandestino che c’era la figura delle mammane, esistevano delle figure simili per quanto riguarda l’aiutare a far soffrire meno nella morte?

R: In Sardegna c’era sicuro. C’era la cabadora, la cabadora  (deriva ndr) dallo spagnolo. Cioè, quando c’era qualcuno che era così, in difficoltà, e provvedeva lei. Quando la situazione era insostenibile. Quindi la saggezza popolare aveva trovato il rimedio. Perché è una questione di senso comune. Se uno accantona i pregiudizi, i principi. Umanamente una situazione così bisognerebbe intervenire, assumersi ….E’ facile dire la vita è sacra. Ma che cosa vuol dire? Abbiamo avuto i cappellani militari. La chiesa ha partecipato alle guerre.

D: Cos’è il senso di colpa per De Seta?

R: Il senso di colpa è che noi …noi veniamo dal male. Dal così detto male. Il mondo della natura si vede: c’è il male. Il mondo dei dinosauri era un mondo basato sulla violenza. Noi veniamo da la. Ce lo portiamo nell’inconscio. L’inconscio è ereditario.

D: Non c’è niente da fare insomma.

R: E si, l’uomo esprime questa contraddizione: si è instaurata, non so quando non so come, la coscienza morale però è rimasto questo ricordo ereditario del male dal quale usciamo. Mi segue?

(minuti 0′:58”.15)

D: Come liberarsi dal senso di colpa?

R: Capendo. Capendo il meccanismo. Per cui Gesù dice delle cose fondamentali. Una volta gli dicono: Tu che sei buono… E Lui (Gesù ndr) dice: “Io non sono buono, Dio è buono“. Lui si dichiarava Uomo. E poi perdona tutti: perdona l’adultera, perdona il partigiano, il brigante crocefisso vicino a Lui, perdona tutti. Lo accoglievano i pubblicani, che erano gli esattori delle imposte, quindi doppiamente spregevoli per il popolo. Perché percepivano le imposte per i Romani, che poi l’impero romano era un impero militare fiscale. Non c’era questa grandezza di Roma che si dice. S, perché facevano le strade ma in realtà spremevano sangue da tutti.

D: De Seta, come dice Scorsese, antropologo poeta?

R: A.. questo l’ha detto Scorsese? Va be questo riguarda i documentari. Si, ma perché io neanche me ne rendevo conto quando li ho fatti. Adesso, ha ragione (Scorsese ndr), c’è – come dire . un’interpretazione religiosa della vita. si sente nei documentari. Li avete visti adesso quelli restaurati? Perché una volta era così. C’era…., c’era la soggezione per il mistero. Cioè si riconosceva che c’era un qualcosa che non si può capire. La saggezza popolare questo lo aveva intuito. Mentre invece, oggi … E’ come la parabola dei vignaioli omicidi che c’è sempre nel vangelo. Quella è illuminante. Il padrone, cioè Dio, costruisce una vigna, la circonda di un muro, insomma, e poi la consegna a questi vignaioli. Poi quando manda a prendere l’affitto, manda i profeti, questi li maltrattano, qualche volta li uccidono. Allora Lui dice: manderò mio figlio almeno avranno rispetto di lui. Di questi temi, di queste cose non se ne parla mai. Il materialismo è questo. Si parla solo della pensione, l’ambiente. Cose sacro sante, per carità. Però questo e basta. S’è perso quel senso… quando si dice gli antichi, che poi noi giudichiamo spregevoli, ignoranti, arretrati, il popolo rozzo, violento. Ma quando mai! Avete visto i dimenticati?

Quello era e ancora in parte è. Quindi è tutto un inganno. E’ tutto un’impostura. Questo è il fatto.

D: Pensa di essere stato, in un certo senso, scomunicato per aver detto verità scomode?

R: Si, ma queste cose poi non le ho mai scritte. Però basterebbe riprendere Tolstoj. Non è che uno vuole fare chissà che. Non c’è questo assunto di originalità. …… Tolstoj a un certo punto ha finito di scrivere. Ha smesso di scrivere narrativa, romanzi. Perché la chiesa ortodossa l’ha scomunicato. E poi ancora oggi è all’indice. Nessuno ne parla. E’ una personalità, uno dei più grandi uomini del secondo millennio.

Share

Emigrazione

di Filippo Curtosi

“La fuga è, dunque, oggi il tema della vita calabrese (…) Ho sentito dire da molti stranieri che è una delle più belle d’Italia. Io non lo so perché l’amo. Ma so che si fugge e si rimpiange la sua pena, si torna e si vuole fuggire, come la casa paterna dove il pane non basta. E una tale fuga il calabrese se la compie anche se sta seduto a un posto, in un ufficio o dietro uno sportello. E’ raro vedere qualcuno che si trovi realmente dove sta. Fisicamente o fantasticamente, la Calabria è oggi in fuga da se stessa. L’Italia meridionale le combatté tutte (le guerre) considerandole un’evasione e una breccia per l’emigrazione …(Continua)Cosi citando Corrado Alvaro da Un treno nel Sud. Il tema: l’emigrazione.
” Eccezionalmente si impiega ancora oggi il lamento funebre in occasione di un equivalente critico della morte, come la partenza per il servizio militare o per la guerra, o per l’America. E anche qui vi sono segni che in un passato relativamente recente l’uso doveva essere molto più diffuso”. Così Ernesto De Martino nel 1958. Luigi M. Lombardi Satriani, sostiene che “anche l’emigrazione, oltre che la guerra ed agli altri eventi è una minaccia perché anch’essa costringe ad un radicale distacco dal proprio paese e recide la continuità emotiva tra gli appartenenti al nucleo familiare e alla parentela, sconvolgendo i quadri di riferimento culturale”. “L’emigrazione -continua l’antropologo calabrese di San Costantino di Briatico- è risposta contro la morte, ma è essa stessa morte, in quanto viaggio, separazione dal noto, rischio della perdita della presenza da controllare anche se essa muta come fenomeno storico nelle sue varie fasi, mete, ritmo, modalità e tempi”.

L’emigrazione è stata uno dei capitoli più importanti della nostra storia, infatti il primo ventennio del secolo scorso vide milioni di italiani attraversare l’Oceano in cerca di fortuna negli Stati Uniti, Argentina e altri paesi del Sudamerica. Quale sia stato il contributo alla vita di questi paesi, nel bene e nel male, del fiume di italiani che sono sbarcati oltre oceano, più numerosi di qualsiasi invasione barbarica in Italia all’inizio del Medioevo è quasi impossibile da determinare. Gli emigrati dall’Italia erano, nella loro grande maggioranza, analfabeti o quasi analfabeti, zappaterra o operai non qualificati, spinti dal bisogno, assoldati da mercanti di mano d’opera. Naturalmente quando si parla di emigrati italiani ci si riferisce anche ai calabresi e cioè a quelle persone nati nella penisola, di razza italiana che parlavano una derivazione linguistica italiana, che avevano un passaporto italiano ma che provenivano da villaggi sperduti della Sila, delle Serre o dall’Aspromonte dove il loro ” modus vivendi” non era stato modificato per secoli e che non avevano mai avuto contatto con altri popoli o regioni e comunque sia non avevano assolutamente risentito gli effetti dell’unità d’Italia. Erano rimasti ancora sotto il dominio di qualcuno. Perché emigrarono? Molteplici le ragioni: le condizioni sociali, politiche ed economiche quelle che forniscono le migliori spiegazioni del fatto che degli uomini lascino la terra natia per andare a cercarsi una nuova patria. Fra l’800 ed il 900 le condizioni in cui versava l’Italia favorirono quello che per certi versi si può definire un esodo: le carestie periodiche, una pressione fiscale senza precedenti, la diffusione della disoccupazione erano fonte di perenne scontento. La miseria del Sud, persistente, netta, indiscutibile, immutabile e descritta da Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”: ” Le case dei contadini sono tutte uguali ,fatte di una sola stanza che serve da cucina, da camera da letto e quasi sempre anche da stalla per le bestie piccole, quando non c’è per quest’uso, vicino alla casa, un casotto che si chiama in dialetto, con parola greca, il “catoico”. Da una parte c’è il camino, su cui si fa da mangiare con pochi stecchi portati ogni giorno dai campi: i muri e il soffitto sono scuri per il fumo. La luce viene dalla porta. La stanza è quasi interamente riempita dall’enorme letto, assai più grande di un comune letto matrimoniale: nel letto deve dormire tutta la famiglia, il padre, la madre e tutti i figliuoli… sotto il letto stanno gli animali, …per terra le bestie, sul letto gli uomini e nell’aria i lattanti. Io mi curvavo sul letto quando dovevo ascoltare un malato; col capo toccavo le culle appese, e tra le gambe mi passavano improvvisi maiali o le galline spaventate”. Per restare in Calabria il contadino non aveva fatto altro che combattere con un terreno duro, avaro, scarnificato, montano. In certe zone l’acqua mancava del tutto in altre piogge torrenziali, inondazioni e terremoti erano all’ordine del giorno. La malaria ed il colera facevano il resto. I soldi che gli italiani all’estero mandavano alle proprie famiglie rimaste in Italia furono una voce importante dell’economia. Oltre alle rimesse in denaro, gli italiani mandavano in patria un interminabile flusso di pacchi contenenti generi alimentari, oggetti vari, attrezzi, vestiario. Le donne al paese vestivano di nero per ridurre le spese di bucato mentre “gli americani” infilavano scarpe di vernice ai piedi che erano cresciuti nudi e callosi. Nel secondo dopoguerra l’emigrazione è diretta principalmente verso i paesi del nord Europa, come Germania, Francia e Belgio. Risalire alla storia dell’emigrazione nazionale nel momento in cui l’Italia è diventato uno dei paesi europei più attraversati dalla manodopera straniera può aiutare a capire meglio un fenomeno imponente e difficile. I movimenti migratori costituiscono un elemento presente in tutte le società preindustriali: tra il 1860 e 1973 sono emigrati dall’Italia circa 24 milioni di persone e ciò fu dovuto anche alla espansione delle grandi opere di viabilità stradale e ferroviaria. Benché le mete transoceaniche fossero raggiunte già all’inizio dell’Ottocento dagli esuli politici, dagli itineranti, dagli artigiani, fu nella seconda metà dell’Ottocento che si moltiplicarono le partenze anche verso altri paesi del nuovo mondo. Per i contadini, i massari, i ceti popolari meridionali, calabresi, “a merica”diventò la meta più ambita, favoleggiata dai racconti di compaesani e parenti arricchitisi al di là dell’Oceano, diventata il mitico luogo simbolo del successo. La grande emigrazione doveva essere di tipo temporaneo con una forte propensione al rientro e fu caratterizzata da un alto tasso di mascolinità. Le regioni che hanno contribuito in maniera più rilevante, tra il 1876 e il 1900 sono state il Veneto che ha fornito il più elevato contingente di emigrati, seguito dalla Campania, Sicilia e Calabria. La vita umiliata di quegli anni aveva però un pathos che scendeva nelle cose, una sorta di tardo crepuscolarismo in cui anche gli oggetti sembravano simboli esistenziali. Madri povere, bambini che lavoravano, che giocavano senza scarpe, padri che ” fatigavanu” dalla mattina alla sera, ” mbivenu” e “jestimavanu”.Vita difficile quella dei massari: ” Pecchi, pecchi sta vita, afflitta, amara, aiu zappu pemmu u moru o aiu u zappu pemmu u campu si chiedeva con i versi Pasquale Creazzo. La mattina di domenica e nelle feste ricordate però sempre in chiesa: schegge, frammenti, documenti in bianco e nero. Ma sotto a questi movimenti in superficie ben altri mutamenti avvenivano nel vibonese che dovevano cambiare faccia alla comunità: la civiltà da contadina stava diventando un’altra cosa: nasceva il “Nuovo Pignone” il “Cementificio Segni”, la “Cimea” e l’indotto, con trasferimento di manodopera non solo da Sud a Nord ma dalle campagne nei paesi: si perché prima non solo si lavorava nelle campagne ma si dormiva pure. Quindi sconvolgimenti sociali profondi con esodi migratori verso Roma, ma soprattutto verso Milano e Torino. Emigrazioni non più verso le Americhe o verso il Nord Europa: si recitavano a memoria alcuni versi di Enotrio Pugliese, genuino ed immenso artista di San Costantino di Mileto, anch’esso figlio di emigranti:

quando nascivi patrima era a Merica.
Fici u sordatu e patrima era a Merica.
Vinneru i figghji e patrima era a Merica.
Mama moriu e patrima era a Merica.
Aguannu tornau patrima d’a Merica pe nommu mori a Merica.

La civiltà contadina cominciava ad essere scardinata e la motorizzazione dei paesi come obiettivo dello sviluppo: le prime 500, le 600 e poi a seguire le 850 con agli specchietti retrovisori le immagini di San Carlo, San Filippo, San Basilio, la Madonna della Lettera, San Michele: sabato, armati di panni e spugna era dedicato “a lavare la macchina” per farsi vedere poi la domenica dalle ragazze “quando nascia a chiesia”. I giovani cominciavano ad essere una presenza che aveva valore sociale ed anche economico. Fu in quel tempo che le famiglie cominciarono a dividersi, gli spostamenti si moltiplicarono, le nuove occasioni imposero un minimo di istruzione, i vecchi ancora non rimanevano soli. Il mare, le grotte, il pallone, l’ozio nelle strade polverose d’estate, le botte , ufriddu, u ventu, lu signu da cruci prima u mi curcu e pemmu u mi addurmentu subbra i vrazza e i dinocchi e vicinu o vrasceri. Eramu sicchi da fami.
Gli anni sono passati in fretta e la memoria delle cose passate, di cari volti, di belle presenze che hanno attraversato la nostra esistenza. Le lettere che non arrivavano e noi che sapevamo che i nostri parenti erano giunti a Malanu. Percorsi divisi, qualcuno ha fatto carriera, emigrato vittorioso, qualcun altro è andato e “jeu, come dice Ammirà, né mi lamentu, né raccumandu e aspettu quando sona lu gran spaventu, quando cadi lu suli e cadi a luna e li stiji caduno. L’aceji ciangiunu e l’acqua sbajiuna e li munti juntanu e ‘nsemi si pistanu e li cerzi stimpanu: cu ‘nd’ eppi, ‘ndeppi, …” Noi viviamo oggi in una civiltà proiettata in Internet, col computer e con i cellulari ed affidiamo il ricordo forse ad un minuto, restando appiattiti ed isolati e gli altri sono sempre e solo altri che non colloquiano con i loro simili e che non hanno come scriveva Proust nella Recherche “la forza di tenere ancora a lungo il passato che discendeva già cosi lontano”. Carlo Levi ci dice quali fossero i sentimenti degli emigrati: “Il Regno di Napoli è finito, il regno di queste genti senza speranza non è di questa terra. L’altro mondo è l’America, terra dove si va a lavorare, si suda e si fatica, dove qualche volta si muore e nessuno più ci ricorda, ma nello stesso tempo è il paradiso, la terra promessa del Regno”.

Share

Salvemini, bastiancontrario e sincero democratico. Commemorae e arruolare?

di Filippo Curtosi

Gaetano Salvemini - Foto: Wiki
Gaetano Salvemini – Foto: Wiki

La figura di Gaetano Salvemini, nel cinquantenario della sua scomparsa viene restituita alla luce grazie ad un saggio di Gaetano Quagliarello (Gaetano Salvemini, il Mulino, Bologna 2007, pp. 313) che ripercorre in modo organico l’intero arco della sua esistenza dal 1873 al 1975, soffermandosi su temi di scottante attualità come la morte della patria e sulla partitocrazia. Salvemini, dopo l’uscita dal Partito socialista, all’indomani della prima guerra mondiale ed in particolare di fronte al delitto Matteotti che inquieta Salvemini tanto che diventa uno dei principali propagandisti dell’antifascismo in campo internazionale e per questo fortemente osteggiato da Mussolini. Il fascismo nella lettura salveminiana non è visto come reazione al pericolo di una rivoluzione bolscevica che, come afferma lo stesso Salvemini non è mai esistito se non come “forma di agitazioni e disordini senza scopo provocati da una sinistra massimalista e inconcludente”. Il fascismo assume nella lettura dello storico pugliese i connotati di un fenomeno antiparlamentare. Antifascista e anticomunista, tanto e vero che accostava fascismo italiano e comunismo sovietico, fu proprio Gaetano Salvemini a far da guastafeste nel “Congresso internazionale antifascista degli scrittori per la difesa della cultura” che si svolge a Parigi nel 1935, presieduto da Gide e Malraux ed è lì che denuncia il caso dell’arresto di Victor Serge per “trozkismo”. ” Esiste una polizia segreta sovietica come la Gestapo e come l’Ovra che tiene prigioniero un intellettuale come Serge”. Scoppia il finimondo e tutta l’intellettualità è costretta a chiedere la liberazione di Serge. Togliatti nel 1945 lo ricorderà come ” un provocatore trozkista che deve la vita alla campagna di stampa borghese per la sua liberazione dalla Lubianka aizzata da Gaetano Salvemini”.

Il professore di Molfetta ha consegnato ai promessi sposi del Partito democratico, dice Ugo Finetti una eredità culturale che però giorno dopo giorno è sempre più vuota nel desolante deserto ideale che fa da scenario alla costruzione del nuovo soggetto politico. Siamo cresciuti negli ardori rivoluzionari giovanili e riformisti poi, ed abbiamo assistito al governo di una sinistra che ha scambiato i principi in cambio di qualcosa di indecifrabile. Dovrebbero, tutti i politici vibonesi, fare proprie le frasi di Bobbio quando dice che “molte delle promesse della democrazia sono ancora promesse da marinaio”.
Norberto Bobbio nel 1975 in un bellissimo saggio dal titolo “Salvemini e la democrazia” scriveva: “Per comprendere appieno il rapporto tra Salvemini e la democrazia, non è sufficiente riferirsi all’esempio di un impegno durato tutta una vita intera e culminato nella ventennale battaglia contro il fascismo: occorre rileggere con attenzione i suoi scritti, dove è possibile rintracciare una compiuta e perfetta teoria dello Stato democratico”.
Nel 1953 Bertrand Russel pubblicò una sorta di abbecedario politico intitolato “L’alfabeto del buon cittadino e Compendio di storia del mondo (a uso delle scuole elementari di Marte). A partire dalla prima definizione (Asino: quello che pensi tu)”, il premio Nobel per la letteratura disprezzava l’arroganza, l’assoluto, il dogmatico, il fanatismo. La definizione di Virtù: “sottomissione al governo” e all’opposto quella di Assurdo “Sgradito alla polizia”. O quella di Libertà “Il diritto di obbedire alla polizia”. E che dire della definizione di Saggezza “le opinioni dei nostri avi”. Per non parlare della definizione di Sacro, la cui definizione russelliana è “sostenuto per secoli da schiere di pazzi”. O di Cristiano, definito “contrario ai Vangeli.” Per non parlare di Bolscevico “chiunque abbia opinioni che non condivido”. Per tornare a Salvemini che sicuramente apparteneva a un’altra categoria di intellettuali cosi rilevava a proposito dell’essere italiani: “Quando parlano gli Italiani colti, mi capita spesso di non capire. Salvemini non deve essere colto, perché quello che dice lo capisco e, quello che pensa lo penserei anch’io. Il linguaggio storico e politico – scrive infatti Salvemini – attraversando tempi e ambienti culturali diversi, si è caricato con termini polivalenti, i quali debbono essere definiti, se non si vuole perdere tempo discutendo di equivoci”.
Liberalismo, democrazia, socialismo scrive Sergio Bucchi, sono i termini principali del lessico Salveminiano e prima ancora sono i termini fondamentali del linguaggio politico del secolo decimonono, ” Il più intelligente, il più umano, il più decoroso dei secoli”. Le tappe essenziali del più grande movimento di emancipazione mai realizzatosi nella storia che ebbe il suo punto d’avvio nella rivoluzione francese. Se il liberalismo si identifica in origine con la battaglia per i diritti personali e la conquista delle istituzioni parlamentari contro i privilegi feudali e i regimi dispotici, la democrazia ne è una estensione, in quanto “ammissione di tutti i cittadini all’uso delle istituzioni liberali”, il riconoscimento per tutti, senza distinzioni di sorta di tutte le libertà personali e politiche.” Un regime libero può non essere un regime democratico, ma un regime democratico deve essere un regime libero”. In questo senso,continua Bucchi, il “metodo della libertà” costituisce la via imprescindibile di ogni rinnovamento politico o sociale. E metodo della libertà e regole della democrazia non possono non essere alla base anche di ogni tentativo di conquistare quel tanto che è possibile di giustizia sociale. La realizzazione della giustizia contro ogni forma di sfruttamento e di oppressione è parte integrante non meno delle libere istituzioni, dell’ideale democratico. Istituzioni democratiche e giustizia sociale stanno tra di loro in un rapporto inscindibile di mezzo a fine, al di fuori delle istituzioni non è possibile nessuna realizzazione.
A proposito di democrazia, la casa editrice Bollati – Boringhieri ha ristampato una raccolta di memorie, lettere e saggi del grande storico Liberale e Socialista, Gaetano Salvemini. Proprio cinquant’anni fa moriva negli Usa lo storico pugliese. Era nato nel 1873 a Molfetta, Salvemini , precursore del liberal socialismo. Studioso della questione meridionale e maestro dei fratelli Rosselli è stato oppositore del regime fascista, aveva criticato aspramente Giolitti, accusò i rivoluzionari come Prezzolino e godetti di disprezzare la democrazia: un sistema imperfetto ma da salvaguardare. Annotava nel 1923 sul suo diario: “E’ moda, oggi , in Italia, fra gli uomini che si immaginano di essere “rivoluzionari” disprezzare la democrazia quanto e non più che facciano fascisti, nazionalisti, sognatori di gerarchie e di aristocrazie rigide e chiuse. E questo disprezzo, che sindacalisti, repubblicani, socialisti, anarchici e anche uomini come Prezzolino, Godetti, eccetera, dimostrano per la democrazia è documento della in cultura politica’ che è la malattia fondamentale dei “democratici” italiani e non italiani.” Parole attualissime perché anche oggi ci sono plutocrazie, gerarchie, oligarchie che dicono a parole di combattere i regimi ma che poi nei fatti deridono le istituzioni democratiche. “La democrazia, agita le masse, dirige i suoi partiti nella lotta politica; nasce, cresce, s’indebolisce, si ammala, corre il rischio di morire, o addirittura muore, come farebbe una persona in carne ed ossa. Queste parole, realistiche e lungimiranti esprimono la convinzione che dietro quella parola c’è un processo di trasformazione, segnato da conquiste e da crisi forti.
Sensibile al liberalismo di sinistra di Mill e alle tesi del laburismo inglese, Salvemini ripropone l’idea del equal liberty, coniugando le ragioni dell’autonomia dell’individuo con quella della giustizia sociale.
“La libertà economica non significa nulla per chi deve guadagnarsi da vivere, che sia un lavoratore manuale che un intellettuale. Se con sicurezza intendiamo un livello di vita minimo e l’uguaglianza di opportunità, dobbiamo ammettere che le istituzioni della democrazia politica del giorno d’oggi non la garantiscono a tutti. Eppure la sicurezza deve essere alla portata di tutti se si vuole salvare la democrazia politica dal naufragio.” Attualissimo nella nostra società caratterizzata dal rischio, dalla precarietà e dall’incertezza.
In uno dei suoi ultimi scritti del 1957 dava atto dell’operato della Democrazia Cristiana di De Gasperi: “Debbo riconoscere che i democratici cristiani mi lasciano protestare, mentre prevedo che i comunisti mi taglierebbero la lingua fin dal primo giorno… il giorno in cui fosse certo che Togliatti e Nenni hanno abbandonato sinceramente ogni intenzione totalitaria starei con Nenni e Togliatti. Non volendo cadere dalla padelle nella brace sono costretto a preferire la democrazia – democrazia – democrazia di De Gasperi, alla democrazia di Togliatti.”

Oggi in Italia e soprattutto dalle nostre parti occorre lottare per la giustizia sociale e la libertà da ogni tipo di miseria. Per il vibonese ci vuole una rivoluzione copernicana. Per fare questo bisogna lavorare per recuperare le tesi che furono di Gaetano Salvemini che restano ancora valide oggi. Non ci si dimentica di una esperienza socialista, libertaria, liberale e radicale, legata ai temi dello stato di diritto, delle libertà individuali, delle soggettività a partire da quella dei lavoratori. Questa è la strada maestra e la strategia dei prossimi anni e la sola via è quella di costruire un Partito democratico anche con lo spirito radicale e liberale e socialista. Solo cosi il Partito democratico sarebbe davvero tale a avrebbe l’adesione post mortem anche di Gaetano Salvemini.

Share

La Patria Europea o l’Europa delle Patrie? Intervista a Marco Pannella a Brussel

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

image

Incontriamo Marco Pannella con Giuseppe Candido nel suo ufficio al nono piano del Parlamento Europeo in una di quelle giornate dove si sogna il mare calabrese e noi là all’ombra di un costume rosa. Non ci sono energumeni all’ingresso, solo signori beneducati e senza eroici gesta e sprezzo del pericolo ci facciamo avanti …(Continua)Pannella materializzato in una sorte di immagine sacra che ha funzione evangelizzatrice, materia che rimanda quasi al trascendente e invita all’adorazione perché come diceva in mattinata il leader dei socialisti europei, Glean? anche la creatività e l’originalità di Marco esprimono anelito al divino laico; scrutando il suo sguardo scorgiamo il caos e l’ordine, la saggezza e la santità, ma anche il rimprovero severo.
In mattinata si è parlato nell’aula “Spinelli” del Manifesto europeista firmato da Spinelli, Colorni ed Ernesto Rossi. Marco Pannella non è un gran narciso, non, come dice Marcenaro uno insopportabile, prepotente, individualista, logorroico, eccessivo, provocatore. Non è un Urano che divora i suoi figli, un mangiafuoco, un cannibale, un politico dell’antipolitica, un antipolitico della politica, uno che calcola, uno che innalza la Bonino e poi la stronca, che la riinnalza e la ristronca. Non è l’ultimo leninista o l’ultimo stalinista. Non è uno che si è fatto un partito su misura, che lo comanda a bacchetta, che finge di lasciarti le briglia sul collo e al primo strattone ti lacera la bocca da qua a là.
Il nostro obiettivo è approfondire il tema della mattina: la Patria Europea o l’Europa delle Patrie.
Fin dalle prime battute abbiamo la conferma sulla vera figura di Marco Pannella non stereotipata, che stupendamente campeggia nelle sue linee essenziali dove si intravedono i tratti delle sue ardite e originali intuizioni che sanno di spirituale elevazione e di mistico lirismo, espresse in una prosa che è poesia, a volte contemplazione, nutrita di memoria storica, politicamente e socialmente vissuta e testimoniata, oggi come ieri.
A noi non ci sorprende la sua umiltà e la sua eccelsa figura di apostolo della laicità, del socialismo liberale, follemente innamorato di verità, di giustizia e di libertà. Alcune risposte sono estremamente illuminanti e significative, spiritualmente e politicamente conquidenti nell’oggi della nostra vita politica, sociale e civile. Dietro a sé sta trascinando il mondo con la moratoria contro la pena di morte.
Pannella dei paradossi, fariseo settario e cosmopolita aperto, persecutore e apostolo, debole e gagliardo, cieco e veggente che vede tutto quello che mai ad uomo è stato concesso vedere. Povero che arricchisce molti, sconosciuto e notissimo, umile e si vanta, incatenato e libera tutti.
Parliamo di Europa e di Altiero Spinelli ad un secolo dalla nascita, comunista negli anni giovanili. Gli anni del confino sono stati gli anni fondamentali della svolta politica di Spinelli, a Ventotene dov’era stato tradotto in carcere per un’arbitraria condanna a cinque anni di confino fa gli incontri fondamentali della sua vita: Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirchmann (sorella del futuro Premio Nobel per l’economia Otto Albert Hirchhmann e futura moglie di Spinelli).
Nel corso della permanenza sull’isola ha modo di discutere approfonditamente e ” liberamente” con diversi intellettuali e uomini politici delle più disparate matrici culturali ed ha l’intuizione che porterà alla redazione del Manifesto di Ventotene;
il Manifesto è il documento fondamentale del federalismo europeo, redatto nella primavera del 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il Manifesto ha il grande merito di trasformare le idee di alcuni grandi pensatori a cominciare da Kant, Robbins e Lord Lothian (delle cui opere Spinelli aveva potuto fare conoscenza durante il confino grazie alla trasmissione clandestina di libri che aveva luogo tra Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi). Il Manifesto presenta alcuni concezioni politiche nuove, ovvero che la battaglia per la federazione europea è una battaglia da fare subito per creare un Movimento Federalista Europeo su scala sopranazionale.
La pace europea, scriveva Spinelli, è la chiave di volta della pace del mondo. Difatti, nello spazio di una sola generazione l’Europa è stata l’epicentro di due conflitti mondiali che hanno avuto origine dall’esistenza su questo Continente di trenta Stati sovrani. E’ necessario rimediare a questa anarchia con la creazione di un’Unione federale tra i popoli europei. L’Unione federale dovrà avere essenzialmente: un governo responsabile non verso i governi dei diversi Stati membri, ma verso i loro popoli. Un esercito messo agli ordini di questo governo. Un tribunale supremo.
E’ la nostra battaglia, dice Pannella , Spinelli è stato lucido. Era successo che nell’ultimo anno e mezzo, pubblicamente venendo al nostro Congresso, devo dire col suo carattere. Se c’era una persona dura ma anche delicatissima, limpida, era lui, arrossiva; mi prendeva sotto braccio ogni volta che mi vedeva e mi diceva: adesso è il tuo turno. Io al letto di morte con dei testimoni autorevoli che poi sono divenuti eredi di mestiere che non erano granché gli dissi: guarda, arrangiati per fare il miracolo di vivere. Io ero a capo del letto, c’erano 40 persone da una parte, dall’altra parte i familiari, guardandolo perché sapevo che era un dolore vero, ma il dolore è un valore quando è una cosa viva è anche un dovere di non evitare di darlo perché rende vivi il dolore. Sono il dovere, le amarezze, le cose che non vanno. Gli dissi, guarda fai il miracolo, ti rimetti invece di morire. Io la gestione in attesa del miracolo la faccio, ma se è un problema di eredità guarda chi hai attorno, erano anche miei amici.
Chi erano?
Erano tanti, diversi, Dastoli, Bombelli, guarda qui, no, io eredità no. Devo anche dire… lo capisco. Infatti adesso viene fuori di nuovo il rilancio del progetto Spinelliano, concretamente lo facciamo. A quel livello. L’ultima volta che lui prese la parola sull’Atto Unico che era il tradimento di tutte le cose nostre, Spinelliane ecc. proposto da Delors e subito accettato da questo parlamentaccio ch’era divenuto perché il progetto comunista dalla quale faceva parte gli dava la possibilità di intervenire perché io rinunciai al mio intervento perché Altiero potesse parlare.
Nel 1946 Spinelli e Rossi escono dal Movimento Federalista Europeo, ritenendo assai improbabile la realizzazione del loro progetto di Europa Libera e Federata per sviluppare una lotta con altri mezzi e l’azione di Spinelli si rivela decisiva per fare della costituente europea la questione centrale per la creazione della Comunità Europea di Difesa e grazie a questa azione l’Assemblea, allargata alla CECA, viene incaricata di elaborare lo Statuto della Comunità Politica Europea per controllare l’esercito europeo, ma la sua opera venne vanificata dalla Francia. Fu una sconfitta per la lotta federalista ma Spinelli e il MFE rilanciano la lotta federalista per mobilitare l’europeismo in una protesta popolare diretta contro la legittimità stessa degli stati nazionali.
Ecco, la Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale, quindi di Spinelli resta qualcosa che è attualissimo ed è la risposta per la Cina, il Medioriente e anche per l’Europa nella concezione e nel linguaggio di Ventotene. La battaglia vera è questa. Adesso nel giro di un mese cominciamo ad organizzare, iscriversi per riconoscersi, tra di noi, tra di loro per la Patria contro l’Europa delle Patrie.
Cosa comporta essere, come tu sei filoisraeliano quando Israele fa una politica dove la sovranità nazionale…
Guarda, io mi faccio carico da anni delle inadeguatezze storiche di Israele che fa come dici tu una politica di sovranità nazionale come tutti gli stati nazionali e sono ormai 30 anni che io lotto perché come l’Italia, la Germania, Israele rinunci alla sovranità nazionale di Stato nazionale e faccia parte strutturalmente dell’Europa. La Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale. La lotta e le battaglie di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Senti, però Spinelli in qualche modo ha fallito come dire quello che era il progetto di Trattato Europeo perché frenato e insabbiato dai governi nazionali che nel 1985 varano il meno ambizioso Atto Unico Europeo.
Come ti ho detto prima adesso è venuto il tempo per il rilancio del progetto di Altiero Spinelli perché è attualissimo ed è la vera risposta per una Patria Europea e non per l’Europa delle Patrie.
Parliamo d’altro, esiste la compassione senza la pietà?
C’è Pasolini che ha insistito diverse volte che la Fede senza la Speranza o senza la Carità, la Carità senza la Fede o la speranza produce cose mostruose. E’ una riflessione che riconduce a questo. Per cui l’assistenza che è alla base della compassione che poi alla fine è alla base dell’8 per mille. E’ una industria quella della Com-passione, io mi tengo la Compassione della Cosa Radicale.
Con Pasolini intellettuale marxista?
Ma, quello che risulta dai suoi scritti che sono poi quelli fatti fuori, lui non capiva e non era d’accordo che noi non ci presentassimo alle elezioni, donde quando lui ha mandato il testamento ai radicali lui dice:io sono un intellettuale marxista, lo era a modo giusto suo che vota DC. Oramai da anni avrebbe voluto che i radicali si candidassero. Nel ‘63 io feci una pubblicazione ” Il Voto Radicale”, noi ci presentammo alle elezioni è il primo a scrivere, accettare di dire io voterò PCI e a qualificare il suo voto come voto radicale fu Pier Paolo Pasolini . In quel momento il voto radicale voleva dire proprio Torre Argentina, insomma allora era il 24 Maggio, non è che è come adesso che uno si vergogna di dire Comunista o Verde o altri cazzi, dice Sinistra Radicale.
La Rosa Nel Pugno ha un futuro?
Sai, quando una cosa ha un passato, quasi clandestino… chi si ricorda che Sciascia era eletto con la Rosa nel Pugno, Tortora, Emma. Noi l’abbiamo tutelata e quando l’abbiamo rimesso a disposizione è stato scritto ovunque che era l’unico evento politico nuovo. Io dico che resta l’unico evento politico nuovo perché queste altre cose, Costituente Socialista… io sono Socialista e devo andà a fare la costituente socialista. Magari quelli artri faranno la costituente Liberale, laica, radicale. Mi pare che chi ha un passato ha un avvenire. Chi ha le novità di questa Europa di Guano del 23 giugno di quest’anno.
Faccio tanti auguri, mi auguro di sbagliare però continuo con le mie compagne ed i miei compagni Radicali e quindi doppie tessere e continuo a portare avanti la RnP che è anche storia dell’organizzazione Liberale, Antipartitica e Laica. Sono cose che possono poi divenire sinonimi come Liberale, Socialista, Laico e Radicale.
La nascita della Rosa nel Pugno significa decidere, fare. L’alternanza per l’Alternativa. Un milione di voti presi non può essere considerato un disastro sapendo che l’alternanza venne stabilita solo per 24 mila voti. Abbiamo concorso tutti? Può darsi. Mezzo milione di voti sono nostri o no?Allora noi rivendichiamo la scelta di valutazione politica. Negli anni ‘60 ancora prima di quello che dice Claudio Martelli sul Partito Democratico, con Bettino ne parlammo anche, eravamo per il sistema Americano, Bipartitico, Anglosassone e dicemmo oltre 40 anni fa che dovevamo fare il Partito Democratico. Mo pare che vogliono fare non si sa cosa. Onore alla scelta di Enrico Borselli e agli altri per questa scelta della Costituente Socialista fatta nel momento più difficile.
Oggi la Rosa nel Pugno da una parte e galassia Radicale dall’altra mi pare che sono la prospettiva. Dobbiamo creare una nuova forza. Guido Calogero, Capitini, i Rosselli, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, storie gloriose e costitutive della civiltà nella modernità. Sono sinonimi: storie socialiste, liberali, radicali, sapendo che la prospettiva deve essere una unica tessera.
Un’ultima domanda: Ignazio Silone diceva che la libertà, la democrazia è libertà di sbagliare, Capezzone ha sbagliato?
Dipende da che punto di vista. Dal punto di vista dei cazzi suoi, no. La Cosa di Silone era proprio la tolleranza ma presupponeva che non c’è una verità e un errare, se no che libertà è? Io gli auguro… gli ho fatto gli auguri, partecipo se vuole visto che i 13 punti sono tutti e tredici manifestamente prodotti dai lombi radicali e questa formula è una formula quella che magari… saremmo stati lieti se nei 5 anni che è stato segretario dei radicali Italiani l’avesse fatta anche lì. Mo pare che gli si sia aguzzato l’ingegno, vediamo se riuscirà a farla. Per quel che mi riguarda l’unica cosa che credo lui oggi a… una bulimia di potere, di potere di esposizione… non gli farà bene purtroppo. Ha dimostrato, una volta eletto Presidente di una Commissione Parlamentare importante come si fa l’opposizione. Se ogni giorno fa il Di Pietro, i Mastella… meglio buoni a niente che essere capaci di tutto. I grandi problemi sono di classe: Welfare to Work, scalone va ragionevolizzato, ma mantenuto.

Abolire la Miseria che vuol dire?

Abolizione vuol dire radicalità.

Share

La Calabria e il libro bianco di Marco Biagi

Roberto Villetti - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)
Roberto Villetti - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)

di Filippo Curtosi

Roberto Villetti piomba alla manifestazione di Piazza Navona e la gente, numerosa, lo accoglie con simpatia. Il capogruppo alla Camera dei Deputati della Rosa nel Pugno esordisce: “Noi come Rosa nel Pugno poniamo delle questioni concrete e specifiche per migliorare l’Italia che è in evidente affanno e riesce a competere in pochi settori. E’ in gravissimo ritardo nel campo delle alte tecnologie e la qualità delle nostre università non è delle migliori, abbiamo come modello la Gran Bretagna dove le università sono le migliori d’Europa”.
On.le Villetti, Le pesa l’etichetta di mangia preti?
E’ una semplificazione di voi giornalisti, molti dei nostri militanti aderiscono alla dottrina sociale e liberale della Chiesa ma non possiamo accettare che le gerarchie della Chiesa entrino a gamba tesa in questioni che riguardano lo Stato e la laicità dello Stato.
Davvero vede la laicità dello Stato in pericolo?
Attraversa una crisi grave. Si va diffondendo sempre più una sorta di fondamentalismo che danneggia anche la Chiesa stessa.
Parliamo di Calabria, di economia di lavoro che non c’è. La Rosa nel Pugno rilancia Biagi nell’Unione: davvero utile per un territorio come quello calabrese, il vibonese può ripartire dal suo Libro Bianco?
Marco Biagi era un vero socialista riformista, una grande giuslavorista ucciso dalla Brigate rosse, la Rosa nel Pugno ne rivendica l’azione e l’eredità. Ricordiamo che Marco Biagi aveva lavorato per il centrosinistra con Tiziano Treu e nel 1999 era stato candidato per le comunali di Bologna con lo Sdi.
Cosa si può fare per ridurre la disoccupazione in Calabria?
La c.d. flexicurity, presa in prestito dal modello danese e cioè l’unione della flessibilità con un sistema di ammortizzatori sociali, cioè sussidi, certi ed universali che non rendano drammatica la disoccupazione possono dare un aiuto ai tanti giovani disoccupati calabresi e vibonesi.
E’ sempre valida la ricetta “Biagi”? Si può morire per mille euro al mese?
C’ un abisso tra l’insicurezza che provoca incidenti mortali e la ricchezza delle classi dirigenti. Riscoprire il tema del lavoro, della perdita del potere d’acquisto di stipendi e di salari, delle condizioni di precarietà nelle quali si trovano soprattutto le nuove generazioni è il contributo dei socialisti italiani e per noi non si tratta di una invenzione del momento.
Come si affrontano questi problemi?
Esiste un problema di regole che vanno rispettate da tutti ed è evidente il contrasto che non è solo italiano ma che riguarda la complessità del problema in una società multietnica.
Il dramma vero -dice il capogruppo della Rosa nel Pugno- è che il governo Berlusconi ha solo in parte tradotto in norme il Libro bianco del socialista Marco Biagi, la Rosa nel Pugno rilancia Biagi nell’Unione per dare una mano al Mezzogiorno e alla Calabria. Per noi flessibilità non vuol dire precarietà, ma opportunità e diritti per i giovani disoccupati. Sappiamo che la nostra è una sfida, ma è una partita che vogliamo giocare.
Un’ultima domanda, che significa oggi essere socialisti, radicali, laici?
La storia, la nostra storia è costellata di lavoro comune tra socialisti e radicali e se abbiamo raggiunto dei risultati come quello della legge sul divorzio e sull’aborto è perché c’ stata unità di radicali e socialisti nel combattere per l’allargamento dei diritti civili.
Tutto ciò era possibile senza Marco Pannella?
Non sarebbe stato possibile senza Pannella e Loris Fortuna, ecco perché noi non dobbiamo chiudere con la Rosa nel Pugno ma aprire un cantiere più vasto. Questa esperienza della RnP è ancora valida, adesso si apre la possibilità di aprire un grande confronto che riguarda il destino della sinistra italiana.
Qualcuno vi accusa di fare tanti matrimoni?

Questo è vero, ma certamente non abbiamo fatto omicidi politici. Il fatto è che noi siamo persone che ragionano, che si pongono continuamente interrogativi e dubbi. I socialisti sanno di non sapere.
I rapporti con Marco Pannella?
Ottimi.

Share

Intervista a Marco Pannella che ai calabresi dice: “siate radicali”

di Filippo Curtosi

Marco Pannela e Filippo Curtosi
Marco Pannela e Filippo Curtosi

Troppe nefandezze sono oggi compiute; gli uomini sono considerati come cose; ucciderli è un rumore, un oggetto caduto. Bisogna amarli come singoli esistenti, coma fa la madre. Se non tutti faranno cosi sarà pur bene che qualcuno lo faccia: il fuoco viene sempre acceso da un punto. Marco Pannella, questi versi…?

“Complimenti hai imparato a memoria dei versi di Aldo Capitini, grande personalità radicale, laica, nonviolenta, ghandiana. Certo dobbiamo sempre tenere alto il canto dell’amore, della giustizia e della pace”.

Perché?

“Per un insopprimibile canto dell’anima”. …(Continua)

Piazza Navona, 12 maggio 2007. “Orgoglio Laico”. Foto di gruppo con striscione. “Calabresi di Sellia Marina: Franco, Patrizia, Giuseppe, siamo qui perché vogliamo pari dignità e pari diritti”. Marco Pannella dispensa parole e sorrisi a giornalisti e curiosi.
Marco, due battute per “Abolire la Miseria della Calabria”. Accetta con piacere.

Qual è il senso del 12 maggio?

“Il senso vero è che i credenti vincano. Non vincano invece coloro che sono tutti divorziati e che hanno i loro capi a San Giovanni: Berlusconi, Casini. Siamo come alla marcia di Natale per la Giustizia, l’Amore, la Pace. Chi è venuto da fuori ha preso la sua macchina e ha pagato il treno o il pullman a biglietto pieno”.

Questa manifestazione che riempie per tre quarti piazza Navona, l’hanno voluta i Radicali e i Socialisti. L’hanno organizzata da soli in fretta e furia. Sono presenti anche i Verdi e Rifondazione Comunista. I grandi assenti sono i Ds. Lo fa notare il bravo presentatore Alessandro Cecchi Paone: “Dove siete? Vergogna!” Nel “backstage” si sta preparando intanto la band tutta calabrese degli ” Uvistra” che faranno tre pezzi molto apprezzati dal pubblico.

On.le Pannella, alimentare l’omofobia come cultura del razzismo diffusa?

In Italia la gerarchia ecclesiale esercita un ruolo invadente che non si vede in nessun altro paese. Ci accusano tutti di essere peggio dei nazisti della Shoa, lo scrivono, lo dicono, voi sterminate gli embrioni e poi ci scomunicano”.

Il problema invece qual è secondo Lei?

Il problema è come amare, nella nonviolenza e non nel possesso e se l’embrione è persona perché non lo battezzano allora. La verità, quella vera, quella di San Francesco non quella di abolire il limbo dopo 800 anni.

Pannella svisceratamente anticlericale come ai bei tempi oppure…

Senti il Santo Spirito nel mondo è lo Spirito Santo, qui da noi è una banca. La verità è che questi sono dei simoniaci. Noi abbiamo distrutto l’immenso aborto clandestino di massa, le chiese fasciste invece fanno campagna per la natalità…

Invece?

Serve concepire con amore che significa sapere concepire un ambiente migliore nel dialogo, non fare figli.

Welby era isolato?

Ha fatto conoscere questa storia di chi non può mangiare, non può bere, non si può muovere, di chi conduce la vita della tortura che è la storia del vissuto a migliaia di persone non solo in Italia ma nel mondo. Il vissuto di Welby è di tutti.

Oggi avete depositato un mazzo di fiori li dove è morta Giorgiana Masi, a 30 anni da quell’assassinio qual è la situazione?

Intanto debbo ringraziare il Vostro giornale per il bel pezzo uscito nei giorni scorsi su Giorgiana. Noi chiediamo che si faccia chiarezza con uno spirito di giustizia e non di vendetta come vogliono fare certe dichiarazioni di questi giorni che non aiutano e fanno confusione su uno dei grandi misteri del regime Italia.

Il progetto della Rosa nel Pugno è ancora valido?

E’ la madonna, col cavolo che è morto. manco pe’ niente

Con Saverio Zavettieri?

Adesso è leader de “I Socialisti Italiani.” Ha annunciato che avrebbe voluto venire nella Rosa. Tra una cosa e l’altra non so a che punto è.

Perché viene poco in Calabria?

Ho girato la Calabria in lungo e largo. A Vibo Valentia ero in contatto con Francesco Tassone del Movimento Meridionale, ci sono radicali che stimo come Salvatore Colace, Francesco Lo Duca, Giuseppe Matina. Nei giorni scorsi sono stato a Reggio Calabria per un convegno sulla pace nel medio oriente”.

Cosa puoi dire alla Calabria ed ai calabresi per sperare ancora nel futuro?

SIATE RADICALI!

Marco Pannella - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)
Marco Pannella – Foto: Mihai Romanciuc
Share

Giorgiana Masi: A trent’anni dalla sua uccisione, una strage di verità.

Marco Pannella: un delitto di Stato.

di Filippo Curtosi

È trascorso tanto tempo da quei lontani anni ′70 che segnarono la data di nascita del così detto “Movimento studentesco” in Italia. “Strategia della tensione”, Piazza Fontana e Piazza della Loggia, Italicus, rogo di Primavalle. Furono gli anni della morte di Giorgiana Masi, di Francesco Lo Rosso, dell’agente Custrà e poi di Guido Rossa, sindacalista, di Fulvio Croce, presidente degli avvocati e delle piazze incendiate dagli estremisti. Il lancio di pietre verso il palco dove parlava Luciano Lama alla Sapienza, il ferimento di Indro Montanelli e poi I Volsci, C.l., Radio Alice, Radio Onda Rossa.
La P38 era il simbolo della sinistra rivoluzionaria. Nudi dati anagrafici, dietro ai quali si celava tuttavia un lungo processo di incubazione. Le lotte operaie con pochi operai e studentesche. I no global, i movimenti ambientalisti e la sinistra radicale e libertaria non nascono dal nulla, ma hanno il loro epicentro, storicamente significativo, nel Lazio, Lombardia, Emilia, Calabria. Regioni chiave per lo sviluppo di una coscienza libera, per i diritti, per la lotta politica e ideale, per un messaggio che viene raccolto in ogni contrada del paese, dagli operai agli studenti, agli intellettuali. Numerosi intellettuali affluiscono in queste fila fluiscono con un folto stuolo di giovani e di donne. Dario Fo, Felix Guattari, Alain Guillaume, Sartre.
Tutto era surreale, alternativo, radicale: gli amori, reale, gli amici, la compagnia, la scuola, il privato, la libertà prima di tutto e da tutto. Il desiderio al potere se si può sintetizzare. Studiavo Giurisprudenza alla “Sapienza”, mi mantenevo vendendo giornali. Partecipai al Movimento studentesco senza tanta intensità. Portavamo come dice Guccini “un eskimo innocente, dettato solo dalla povertà, non era la rivolta permanente, diciamo che non c’era e tanto fa”.
Leggevo Allen Ginsperg, Kerouac, Re Nudo. Ascoltavamo Jefferson’s Airplane. “Cazzo” era la parola più usata a quel tempo. Il ‘77 non è stato il folclore come dice Francesco Merlo su La Repubblica. Piuttosto ha ragione Asor Rosa quando parla di “due società”. Da una parte dice lo storico della letteratura “c’erano i garantiti, coloro che avevano un reddito sicuro, dall’altra una vasta massa di giovani precari, marginali, senza prospettiva di inserimento sociale”. Si faceva di necessità virtù. Questo l’ex direttore di Rinascita lo scriveva nel 1977 su L’Unità. Poi le Br distrussero il sogno e i desideri. L’azione politica di compagni come Oreste Scalzone, Franco Piperno, Lanfranco Pace si dispiegava nella società civile con le lotte per la libertà ed il progresso dei lavoratori, per la difesa della democrazia e delle libertà, contro le repressioni autoritarie che raggiunsero la fase più acuta con il c.d. “teorema Calogero” del 1977.

A Bologna dove si riunì il movimento per l’ultima volta c’è una grande novità: svanisce il sogno e tutto si dissolve. Oltre a Scalzone che era stato incriminato per banda armata e condannato, anche altri compagni conobbero in quegli anni il carcere e vennero processati e condannati. Insieme ai provvedimenti che vietavano ogni tipo di manifestazione pubblica si decretava in pratica lo stato d’assedio e la sospensione delle libertà di associazione, di espressione libera. Il giovane ministro Cossiga fece arrestare il movimento ed i loro capi, tra i quali appunto l’Oreste. Contro le misure repressive della libertà di associazione, di sciopero, insorsero solo i socialisti come Giacomo Mancini, i radicali come Marco Pannella ed i veri democratici. Si era contro il compromesso storico e come scrive Lucia Annunziata nel suo libro 1977 “noi odiavamo i comunisti”. Il vecchio Psi assunse una politica autonomista, conferma Craxi alla guida del partito; più tardi Pertini verrà eletto presedente della Repubblica. Poi le Br, l’uccisione di Moro hanno definitivamente distrutto e cancellato il “Movimento”. Dopo 26 anni di latitanza in Francia, l’ex leader di Potere Operaio torna in Italia. Era stato condannato dal Tribunale di Milano nel 1981 per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata nell’ambito del processo “7 aprile” su Autonomia Operaia.
Nell’immaginario dell’epoca si meritò l’appellativo di “rivoluzionario” non di mestiere. Processato in più occasioni, Scalzone trascorse in carcere alcuni anni. Costretto ad imboccare la via dell’esilio, per altri 26 anni girò in cerca di ospitalità per se e per le sue idee: Corsica, Olanda, Sud America, Francia, Parigi; il presidente socialista Mitterand diede ospitalità a tutti gli esuli ed i rifugiati politici. Si attraversava, da libertari tutte le lotte operaie degli anni settanta in Italia, partecipavamo all’occupazione di Valle Giulia con Pace e Piperno, leaders del Movimento studentesco, ci si scontra in piazza con la polizia e con i fascisti. Erano gli anni del “Potop” del potere operaio, come recitavano gli slogans di quel tempo. Erano gli anni dei cinema “d’essai”, degli scontri anche con quelli di Lotta Continua. Era la stagione delle assemblee permanenti, degli espropri proletari. Erano gli anni di forte e vera opposizione alla guerra, gli anni della difesa dell’internazionalismo libertario, socialista e radicale.
Chi incarnava il libertario in Italia era ribelle, bandito, sovversivo. Si è sempre ritrovato contro ogni tipo di potere. Sulla fiancata della barca di Gianmaria Volonté che portava in Francia Scalzone c’era scritto un verso di Paul Valery: “Il vento si alza, bisogna tentare di vivere”. Lui ha sempre incarnato queste parole. Sempre sulle barricate. Scalzone oratore formidabile, lo ricordo sempre sommerso di libri, carte e giornali. Non è mai stato un comunista anche se da giovane è stato iscritto alla Fgci: nei fatti anticipa quelli che oggi si chiamano no global da Caruso in giù.
A fianco degli operai che occupano le fabbriche e nelle lotte studentesche come a Roma, Napoli, Bologna, Milano. Viveva tra gli operai e con gli studenti: una sorta di icona del movimento studentesco. Poi venne sepolto vivo in esilio e continuamente sorvegliato come una bestia pericolosa. Farà ancora paura? Adesso che farai? Farò una compagnia di giro, composta da me stesso e da chi ci vuol stare. Farò agitazione filosofica, culturale e sociale”. Farà, dice il sindacalista dei rifugiati.
Marco Pannella, destinato a diventare per molti una sorte di voce profetica che più a contribuito a distruggere gli stereotipi borghesi della morale e dell’etica in base al suo atteggiamento nei confronti della nonviolenza del potere politico e industriale, dello stato assassino. Il Partito Radicale e compagnia possiamo dire che hanno sconvolto linguaggio, percezione e visione del mondo per la libertà, contro le ingiustizie, le guerre, l’odio e le incomprensioni. Andrea Casalegno dice che “per un giovane di oggi non è facile capire di che lacrime grondi e di che sangue la storia del 1977. Quei fatti sembrano un brutto sogno: il susseguirsi delle manifestazioni che ogni volta ci scappava il morto. Ammazzare era un gioco. Il vero lavoro era uccidere”. Un esempio per tutti: l’uccisione di Giorgiana Masi. In un bel libro, abbastanza raro, prestatomi da Salvatore Colace, Radicale Calabrese da sempre, elaborato dal Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei, si raccolgono testimonianze e fotografie del fatidico 12 Maggio 1977 della morte di Giorgiana Masi, diciannovenne simpatizzante Radicale.
“La meccanica dell’assassinio di Giorgiana, si legge in questo libro, si può riassumere come un omicidio di Stato”. “E’ vostra, diceva Antonello Trombadori, la responsabilità della tragedia”. “Un delitto di Stato” tuonava Marco Pannella. “Vogliono criminalizzare l’opposizione democratica, parlamentare ed extraparlamentare; l’opposizione laica, libertaria, socialista, non violenta, alternativa; quella del progetto, del referendum.
La violenza è stata solo dello Stato. Disobbedire era necessario. Il movimento femminista di Roma dice: “Giorgiana Masi è stata assassinata dal regime di Cossiga. Rivendichiamo il diritto di scendere in piazza, a riprenderci la libertà, la vita. Nessuna donna resterà in silenzio”. Ecco perché ancora serve il suo esempio, da libertari, nonviolenti, laici, socialisti, liberali e radicali.

A Giorgiana:
se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio se tu vivessi ancora, se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio se la mia penna fosse un’arma vincente se la mia paura esplodesse nelle piazze se l’averti conosciuta diventasse la nostra forza se i fiori che abbiamo regalato alla tua coraggiosa vita nella nostra morte almeno diventassero ghirlande della lotta di noi tutte, donne… se… non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita ma la vita stessa, senza aggiungere altro Conoscere per deliberare.

Da wikipedia, l’enciclopedia libera: Giorgiana fu una studentessa romana del liceo Pasteur uccisa a diciannove anni durante una manifestazione di piazza. Il 12 maggio 1977, terzo anniversario del referendum sul divorzio, i radicali indicono un sit-in in Piazza Navona nonostante fosse in vigore il divieto assoluto di manifestazioni pubbliche decretato dopo la morte, il 21 aprile, dell’agente Settimio Passamonti.
Le Polemiche: il ministro dell’interno Francesco Cossiga fu coinvolto in aspre polemiche per l’esistenza di un presunto complotto (vi sono fotografie che mostrano agenti in borghese mimetizzati tra i manifestanti che parrebbero, secondo alcune interpretazioni, sparare ad altezza uomo), e si dichiarò pronto a dimettersi “se avessi avuto le prove che la polizia aveva sparato”. Nel 2003 dichiarò, però, “non li ho mai detti alle autorità giudiziarie e non li dirò mai – i dubbi che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono sulla morte di Giorgiana Masi: se avessi preso per buono ciò che mi avevano detto sarebbe stata una cosa tragica”. Riapertura delle indagini: la riapertura del caso è stata negli anni sollecitata da più parti. Per l’ex presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino, le parole di Cossiga pronunziate sull’accaduto confermerebbero come “quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una soluzione involutiva dell’ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare un risultato al quale per via completamente diversa si arrivò nel 1992-1993″.
Il deputato verde Paolo Cento ha presentato una proposta di legge per formare una commissione che si occupi di “abbattere il muro di omertà, silenzi e segreti attorno all’assassinio della giovane e per individuare chi ha permesso l’impunità dei responsabili”.

Share

QUEI RIVOLTOSI DI “NON MOLLARE”


di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana”

“Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”. Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda.

Marco Pannella ha dato un giudizio assolutamente positivo del congresso dello Sdi . Si vuole fare l’Unità socialista che non è riuscita prima. “Sembra che le cose vanno benissimo dice Pannella rispetto ad un offensiva vetero clericale”.

imageLa Rosa nel Pugno vive nello spirito. Pannella ha una storia socialista .

Il segretario dei giovani socialisti, quarta componente della Rosa dice: “Il progetto laico, liberale, radicale e socialista non muore. Vogliamo un cantiere più grosso. Volevamo farlo prima e non ci siamo riusciti, adesso dicono si può fare”. Noi vi applaudiamo continua Pannella. Questa sera è una sera di festa perché c’è un canto nel congresso dello Sdi della laicità come alternativa ad un sistema politico italiano che possiamo definire come una cosa traditrice e bastarda. Ringraziamo Enrico conclude Pannella, perché l’Unità socialista è un percorso non craxiano ma che si richiama a Zapatero, Blair e Loris Fortuna. L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana” . Cosa significa ciò? Per comprendere questo passaggio bisogna andare indietro nel tempo.

Anno 1925: La pattuglia dei “salveminiani” che comprende Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli, Carlo e Nello, Traquandi, da vita ad un giornale: “Non Mollare”.

Il titolo del giornale lo trova Nello Rosselli che, racconterà Salvemini, ha la meglio su chi propone “Il Crepuscolo”.

Ernesto Rossi di cui quest’anno si celebrano i 110 anni dalla nascita, studioso di economia e insegnante nelle scuole statali, mutilato dalla grande guerra, si professa subito “liberista”; i fratelli Rosselli, ebrei,di famiglia ricca; Tramandi di professione faceva il ferroviere. Si trattava di distinti borghesi dalle radici culturali “risorgimentali” che avevano partecipato al conflitto della grande guerra del 15-18.

Erano rivoltosi perché si mettevano contro il fascismo che aveva soppresso la libertà di stampa. “Volete che sparisca la stampa clandestina”? era la parola d’ordine che questo giornale fiorentino diffondeva. “Rispettate la libertà di stampa”. “Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”.

Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda. Qualunque semplificazione sta stretta, anche se, come ogni storia complessa come quella di cui “Non Mollare” si fece strada per 22 numeri clandestinamente (usciva quando poteva).

Ernesto Rossi aveva il compito di far recapitare il foglio clandestino a gente che si chiamava Camillo Berneri, Umberto Zanotti Bianco attraverso il ferroviere Traquandi.

Il bersaglio preferito era Vittorio Emanuele III, colluso con Mussolini.

La tiratura era di trentamila copie. Un giornale irriverente, di forte denuncia che veniva definito “Bollettino d’informazione durante il regimee fascista”. Simbolo autentico di resistenza al fascismo. Ernesto Rossi divenne cosi nemico giurato di Mussolini e dovette riparare in Francia in seguito al tradimento di un tipografo, Gaetano Salvemini venne arrestato a Roma prima di andare in esilio per oltre venti anni. I fascisti volevano ammazzare i fratelli Rosselli ma non li trovarono. Li avrebbero trovati dodici anni dopo.

Il “ Socialismo liberale” di Rosselli.

Scriveva Aldo Garosci nel 1967:

“L’anno 1937 si apriva sullo scenario europeo di una guerra civile che, a cinque mesi dal suo inizio, di giorno in giorno appariva come il dissidio tra due civiltà: la guerra di Spagna. In molti tra gli esuli antifascisti italiani, avevano fatto la loro scelta di campo, e tutto nell’animo e nella volontà di Carlo Rosselli lo disponeva all’intervento in questa guerra”.

Settant’anni fa venivano uccisi in Francia i due fratelli antifascisti, socialisti e liberali da tempo sotto stretta sorveglianza.

“Il maggior pericolo viene da Rosselli e, a mio modo di vedere, è assolutamente necessario sopprimerlo” cosi si esprimeva nel 1934 il capo della polizia politica che viene riportato nel volume di Mimmoo Franzinelli: “Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un omicidi politico”.

Attraverso di esso, scrive lo storico Lucio Villari, l’autore ricostruisce la preparazione in Italia e l’esecuzione per mano francese dell’assassinio dei fratelli Rosselli. Nella prima metà del volume si seguono le trame italiane e le complicità francesi della rete dentro la quale cadrà Carlo Rosselli. “Tenga presente – scriveva Michelangelo Di Stefano numero due del capo della polizia Arturo Bocchini – che il movimento più importante, più pericoloso, più attivo è, per ora Giustizia e Libertà. Ho dovuto persuadermi che il Rosselli è, senza dubbio, l’uomo più pericoloso di tutto il fuorisciutismo (nel lingiaggio fascista si preferiva qualificare con un termine dispregiativo “fuorusciti” gli esuli antifascisti).

Egli è un “piccolo Lenin, figlio di papà” ma crede sul serio al suo ruolo rivoluzionario ed è totalmente sprovvisto di quel minimum di misticismo che spinge il rivoluzionario idealista a non imbruttire mai la propria opera. Per Rosselli tutti i mezzi sono buoni”.

I servizi segreti, scrive ancora Villari,” sapevano anche che la posizione di Rosselli era critica nei confronti dell’antifascismo all’estero e delle sue varie componenti: socialiste, comuniste, liberali, repubblicane, anarchiche, cattoliche.

Gli informatori sapevano che la lotta al fascismo condotta da Rosselli, voleva essere, rispetto a queste componenti, più profonda, più incisiva, più strategica. In una lettera, intercettata, di Rosselli al repubblicano Fernando Schiavetti era detto: “Non occorre che spieghi a te che la nostra concezione non ha nulla a che fare con il vecchio massimalismo. Siamo pronti alla lotta concreta e a tutte le concessioni tattiche, purchè resti energicamente perseguito il fine”. La guerra di Spagna, conclude lo storico” metteva alla prova queste idee. Per il regime fascista occorreva dunque agire al più presto.

Chi sapeva, se non le spie e gli intercettatori italiani del fatto che Carlo Rosselli, tornato dalla Spagna con una grave flebite alla gamba doveva curarsi ai primi di Giugno presso le terme di Bagnoles-del’Orme in Normandia?

Chi altri l’avrebbe potuto chiedere ai “cagoulards” di portare a termine l’eliminazione di Rosselli se non i massimi vertici del fascismo internazionale?

Dopo la morte di Rosselli, un altro grande antifascista italiano assunse compiti impegnativi di carattere politico e organizzativo nell’ambito di “ Giustizia e Libertà”: Bruno Trentin, padre dell’ex segretario generale della Cgil. Scrive Hans Werner Tobler:” Dall’esame del contributo teorico- sociale del Trentin negli anni trenta, visto come una delle componenti del quadro politico di “ Giustizia e Libertà”, proprio in confronto alle concezioni politiche di Carlo Rosselli, emerge la vasta gamma di opinioni che caratterizzava questo movimento.

Per quanto, nel loro tentativo di definire una propria posizione politica, sia Trentin sia Rosselli partano dalla polemica con il marxismo e col socialismo e tendono ad una nuova concezione della società, determinata anche in forma decisiva dall’esperienza del fascismo, e per quanto riconoscano entrambi la realizzazione sociale dei postulati liberali di autonomia come un’esigenza centrale, differiscono poi nel loro orientamento politico.

Le idee di Rosselli che, data la sua leaderschip nell’ambito di “Giustizia e Libertà”, vanno intese anche come espressione fondamentale dell’orientamento di questo movimento, vennero elaborate soprattutto in “ Socialismo liberale” apparso nel 1930. Per Rosselli che aveva fatto parte del partito socialista di Matteotti, Socialismo liberale aveva il significato di un distacco dal socialismo italiano tradizionale e soprattutto dal rifiuto della sua base marxista. Nella prassi politica, Socialismo liberale significava una svolta in direzione della pratica politica della socialdemocrazia europea occidentale e soprattutto inglese.

Socialismo liberale va inteso come critica fondamentale del marxismo.

“Oggi sono in causa” scrive Rosselli nella prefazione, “Le basi fondamentali della dottrina e non più soltanto della sua applicazione pratica. E’ la filosofia, è la morale, è la stessa concezione della politica marxista che non basta più a soddisfarci e ci spinge verso altre sponde, verso orizzonti più vasti”.

Influenzato dall’interpretazione di don Benedetto Croce del marxismo, Rosselli respinge soprattutto la base materialista e l’interpretazione deterministica del processo di sviluppo storico del marxismo. Rosselli critica con Croce “L’assurdo relativismo morale professato dai socialisti”, sente nel marxismo la mancanza delle “integrazioni etiche e sentimentali”, lo trova privo di “giudizi morali, entusiasmo e fede”.

Rosselli interpreta il marxismo in quanto determinismo dogmaticamente cristallizzato, non come una teoria che riesca a ispirare l’attività politica pratica, ma che, al contrario, in determinate circostanze storiche( come al tempo della presa del potere del fascismo) addirittura la paralizza. Marxismo e socialismo non gli appaiono pertanto identici, ma anzi il marxismo può rivelarsi un impedimento per il socialismo. Bisogna dunque- secondo Rosselli – liberare il socialismo dalla sua incrostazione dogmatica- marxista.

La critica del marxismo di Rosselli non è tanto una critica del marxismo genuino quale risulta dalle opere di Marx ed Engels, quanto piuttosto una polemica con la concezione del socialismo e della sua realizzazione adottata dai marxisti italiani. Socialismo non significa più per Rosselli essenzialmente una struttura socialista di produzione. Il socialismo si rivela nel concetto di Rosselli piuttosto un ideale:” Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere, e neppure l’uguaglianza materiale(…) Il socialismo, più che uno stato esteriore da raggiungere, è per l’individuo, la realizzazione di un programma di vita…Rosselli arriva alla sintesi di socialismo e liberalismo nel suo Socialismo liberale interpretando il nuovo socialismo come l’autentico proseguimento del liberalismo idealista ch’egli contrappone al liberalismo borghese del suo tempo, ridotto a liberalismo economico. Per “Socialismo liberale” intende quindi “una teoria politica che, partendo dal postulato della libertà dello spirito umano, afferma la libertà suo fine supremo, suo mezzo supremo, regola suprema della convivenza umana”.

In definitiva la concezione di Rosselli di un socialismo liberale corrisponde ad una politica di integrazione dell’individuo nello stato di tipo democratico occidentale, basata sui principi del liberalismo politico.

La libertà personale dell’individuo deve essere integrata da una politica di giustizia sociale fino alla compenetrazione dei postulati di socialismo e liberalismo, “giustizia e libertà”.

Quello di cui oggi l’Italia ha bisogno. Per ritornare al congresso dello Sdi possiamo dire che è rinato il Psi ed è nelle cose che Marco Pannella avrà una delle prime tessere, quella che Bettino Craxi gli ha sempre rifiutato. Il 12 maggio a Piazza Navona c’è una festa: “Rosa nel Pugno Pride”. Roma è aperta ai nuovi Garibaldi, ai nuovi laici, liberali, socialisti e radicali.

Share