di Angiolo Bandinelli (*)
pubblicato di L’Opinione, 2 giugno 2017
“Il Tevere più largo” è il titolo, celebre, di un libro di Giovanni Spadolini (Longanesi, 1970) in cui lo storico, ma anche ministro e Presidente del Consiglio (nonché Presidente della Repubblica ad interim) rileggeva i complessi rapporti intercorsi tra Vaticano e Stato italiano dalla breccia di Porta Pia ai nostri giorni, o quasi. Non so se le sue analisi, i suoi giudizi ed interpretazioni di quei temi sarebbero ancora validi; la formula giornalistica torna però di attualità in una diversa, già famosa versione: “L’Atlantico più largo”.
ll G7 svoltosi recentemente a Taormina ha reso esplicito quanto era pur evidente, e fu presto colto dagli osservtori più avvertiti: vale a dire l’allontanamento progressivo degli Stati Uniti dall’Europa. Lo “America First” di Trump è il suggello mediatico di una vicenda che covava sotto le ceneri da un qualche tempo, già dall’epoca della presidenza Obama, con il silenzioso, lento ma inequivocabile ritiro degli USA dal palcoscenico della politica medioorientale. Con quel ritiro, l’America rinunciava di fatto a giocare il ruolo di potenza egemone, di garante degli assetti ed equilibri a livello mondiale incentrati sul rapporto speciale con i Paesi dell’altra sponda dell’Atlantico, l’Europa insomma. Obama venne criticato per quella sua politica rinunciataria. Si cominciò a fare le pulci al “declino” dell’America.

Con le scelte via via compiute da Trump il quadro si fa più chiaro. Anzi, fosco. L’America si chiude su se stessa. Ovviamente, l’ attenzione primaria ed esclusiva per gli interessi “nazionali” evocati dal motto “America First” non vuol dire che l’America ignorerà vicende ed eventi senza intervenir e – magari con i “boots on ground” – qualora lo ritenga necessario; ma lo farà, appunto, in nome del proprio tornaconto, non a nome e con la partecipazione almeno morale della comunità democratica, di qua come di là dell’Atlantico, o dei diritti umani e/o civili di cui questa comunità si dichiarava portatrice. Trump lo ha esplicitato brutalmente: i temi dei diritti umani e civili non lo interessano. Se dovrà intervenire – in Medio Oriente o dove che sia – non lo farà per inseguire le fantasie “neocon” che segnarono le imprese militari di Bush in Iraq. Con sua visita a Riad, Trump ha delegato di fatto la gestione politica dellì area ai sunniti e ai wahabiti di Arabia Saudita, non esattamente portatori di democrazia e di diritti….
Vogliamo dirlo con altre parole? Quel che forse è già morto, è il concetto di “Occidente”, come storicamente formulato e di cui erano considerati promotori e depositari i paesi trans/atlantici. Nelle loro diversità, Stati Uniti ed Europa si riconoscevano, ed erano riconosciuti, come la culla unitaria di un complesso di valori ben definiti e considerati come matrici di diritto, e, più in generale, di una visione del mondo a vocazione universale: addirittura di una “civiltà”, la civiltà occidentale appunto. Tutta questa costruzione, eretta in secoli di storia, sta crollando. L’America di Trump non è un episodio destinato ad essere prima o poi riassorbito. E’ l’espressione più forte e determinante di quel rifiuto della storia che è all’origine di fenomeni devastanti di cui oggi parliamo tutti, di qua come di là dell’Atlantico, e che improprimente e insufficientemente abbiamo definito come “populisti” o “sovranisti”. Definizioni che non ci danno il senso complessiv o, l’ampiezza dei fenomeni stessi.
Sono giudizi e timori esagerati? Non so. Ma chi avrebbe detto che le Tesi di Lutero avrebbero spaccato per sempre l’unità religiosa dell’Europa e scatenato un secolo di guerre tra le più devastanti e feroci? Da Spengler a Ratzinger, i profeti del “declino dell’Occidente” hanno proposto i loro catastrofici allarmi, di volta in volta additando i responsabili del declino e della fine dell’Occidente; l’ultimo sarebbe, aloro avviso, l’Islam. Nessuno ha mai pensato che la scintilla sarebbe scoccata negli Stati Uniti d’America..
(*) Angiolo Bandinelli, giornalista e politico, deputato IX Legislatura per il partito Radicale, ha collaborato al “Mondo” di Mario Pannunzio, periodico su cui ha pubblicato circa cinquanta articoli.