Il piano inclinato. Riflessioni (sparse) sul libro di Romano Prodi

di Valter Vecellio

A chi si rivolge Romano Prodi con il suo Il piano inclinato? Il libro è fresco di stampa, pubblicato da “Il Mulino”, ormai tra le poche case editrici che nonostante la crisi in cui si dibatte (non “macina” più come un tempo, perfino la prestigiosa Rivista di Scienza Politica è “emigrata a Cambridge, da Strada Maggiore di Bologna dov’era…), sforna non cookie-book, ma saggi che ancora un po’ fanno pensare.

Si rivolge, Prodi, ai suoi amici e sodali di un tempo?

Sì, forse; anche se non si tratta di un libro-viaggio-di-Nonna-Speranza; non si coltiva memoria per conservare fatti che andrebbero smarriti, scoloriti dal tempo; e neppure si indulge nel vizio del “reduce” che, “armati” di esperienza (non importa qui, sia buona o cattiva) si sente in dovere di tramandare consigli e “avvertimenti”; Prodi, del resto, non credo aspiri più a guidare brandelli di armate ormai imbolsite; la dice lunga il suo voler precisare che del PD non è più iscritto da tempo, semmai “vive” in una tenda, in un limitrofo giardino. Magari l’ambizione, ora, è quella di esercitare una decisiva influenza, ma senza toccare palla direttamente. Ha 77 anni, un’età che non consente più neppure d’essere una riserva della Repubblica. Ne può essere un autorevole “consigliori”; e che altri, facciano i “padrini”.

I “nuovi”. I “nuovi”, di “nuovo” hanno molto poco; le loro sono voracità antiche, appetiti di sempre, famelici di banche e di enti e poltrone. La differenza è che prima c’erano, almeno, leoni (ma sì, gattopardi); ora siamo agli sciacalletti, alle iene. Cambiano le mandibole, c’è meno “educazione” nella politica della (s)partitocrazia. Ma il motto è sempre quello, il garineiangiovanninesco: “Aggiungi un posto a tavola”; e quando puoi, togli la sedia al tuo vicino. “Nuovi” che a volte, spesso, per via dei loro arroganti pasticci, fanno rimpiangere i “vecchi”: che almeno un embrione di visione lo coltivavano e riuscivano a conciliare “essere” con “avere”, non era il tempo di “twitto ergo sum”.

Di sicuro qualche perfidia, di tipico sapore catto-emilian-democristo nei confronti del “bulletto” di Rignano sull’Arno, Prodi se la concede; per esempio dove scrive che non è “accettabile” l’indebolimento dei corpi intermedi. Si può discutere sul ruolo insoddisfacente e/o dannoso svolto da questi “corpi”; ma annullarli come il professionismo della rottamazione ha tentato di fare, Prodi con qualche ragione, lo contesta. Ad ogni modo, i vagheggiati, auspicati “colpi di cacciavite” per cercare di raddrizzare qualche stortura in Italia (e non solo), sono certamente diversi da quelli vagheggiati e teorizzati dal Superbone toscano.

Fuor dalla polemica spicciola, e al netto di qualche pietruzza che Prodi si vuole levare dalla scarpa, la domanda resta tutta: dove vuole parare il “Professor Mortadella”? La sua è cultura cattolica intrisa di Achille Ardigò; c’è sotto traccia l’influenza di un Beniamino Andreatta e della sua AREL; c’è un mondo cattolico che si snoda da Toniolo a Giuseppe Dossetti, La Pira… Lui, poi, è capace di sottili perfidie, di colpi sotto la cintura sferrati con il sorriso di sembra sussurrare: “Ti faccio un favore, ringraziami”- Lo ricordiamo bene il suo finale endorsement al SI in occasione del referendum renzista: un capolavoro di cattiveria; l’inizio di quella fine che da sempre vede lavorare in sinergia, con quell’incessante “troncare e sopire” i silenziosi Mattarella e Franceschini, i Gentiloni e i Letta…

Prodi ne “Il piano inclinato” propone una politica fiscale che per scopo e obiettivo ha finanziare e potenziare lo stato sociale; lo definisce “riformismo forte”. Si appoggia, è sorretto da un altrettanto robusto welfare. Non c’è nulla di “leggero”, nel pensiero di Prodi; né per l’Italia, né per l’Europa, né per il resto del mondo. La “leggerezza” non rientra nel suo orizzonte. E consentendoci una digressione: chissà, potrà anche accadere che i teorici e fautori della “leggerezza”, a seconda di una convenienza prontamente individuata, li vedremo convertiti lestamente alla “pesantezza”. In fin dei conti, voltata una volta la gabbana, perché non continuare? E’ un esercizio che richiede una certa professionalità, ma applicandosi, s’impara…

Dunque, al momento opportuno, e se il “Professor Mortadella” lo riterrà utile, molti (e molte, non discriminiamo), praticheranno lo sport del “bandwagon”. Ne ricaveranno profitto? Dipenderà da lui, dall’utile che ne ricaverà. Sarà comunque lui a dettar le condizioni, a distribuire le carte. Condizione per una marginale sopravvivenza.

Di “left-lab”, di quella bizzarra idea che di volta in volta si vuole sia incarnata da Bill Clinton, da Tony Blair, da Barack Obama (ora parrebbe da Emanuel Macron), Prodi non sembra subisca particolare fascino. Li evoca, certo; li usa, alla bisogna. Ma è troppo astuto per farsi inchiodare a quei feticci. Può agitarli per una contingenza. Ma le sue stelle polari sono a Berlino, a Washington, Mosca e Pechino. Ci ricorda, Prodi, che le economie (e le comunità) dei nostri paesi, la nostra società, sono stanche, sfibrate, sfiduciate, spompate nel senso letterale. Non va bene l’ “oggi”; soprattutto non andrà meglio “domani”, dal momento che tutti gli indicatori, unanimi, pronosticano bufere e tempeste. Chi viene dopo avrà una bella fregatura. Ecco che la bonomia del “Professor Mortadella” viene meno quando delinea scenari ormai da prossimo futuro: il baratro non è un’ipotesi, ci ha già inghiottito: “La precarietà è diventata una virtù e ci siamo lentamente abituati a una diminuzione del welfare state”. Investimenti pubblici e politiche industriali, propone Prodi; e certamente la “ricetta” ha il sapore di soluzioni antiche, perfino polverose. Ma è anche con quell’antico, con quella “polvere” – giova ricordarlo – che Prodi per due volte è riuscito a sconfiggere Berlusconi e ad assicurare un minimo di equilibrio al paese. Come lui nessuno dei “moderni” e molto glamour, ha saputo farlo. Si può dunque capire che pur per diverse destinazioni proponga una navigazione simile alle già sperimentate.

Se si immagina un manuale dove ci si esorta a cambi e mutazioni radicali, si è in errore. Quella di Prodi è’ una riflessione prudente, dai toni sommessi; al tempo stesso decisa, sedimentata; un sogno pragmatico, verrebbe da dire. Può benissimo non piacere, lo si può accogliere con tante, legittime, riserve; ma con “Il piano inclinato” traccia comunque la mappa per un possibile percorso. Non mancherà chi si vuole unire alla carovana. Prodi non porrà veti. Ma detterà delle condizioni; è possibile che loro per primi, i professionisti della band wagon, abbiano qualche sorpresa.Più agra che dolce, com’è costume del personaggio.

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