Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…

di Valter Vecellio

Pubblicato su il Dubbio il 25/03/17

Viene accolto, quel Papa venuto “da quasi la fine del mondo”, al suono
di piatti e stoviglie di metallo, battono le posate su pentole e coperchi.
Di solito, in carcere, la “battitura” è il segno se non di una rivolta, di
un fermento, una protesta, un malcontento che serpeggia.

Oggi no: nel carcere milanese di San Vittore, quel suono ritmato è una sorta di “inno alla gioia”, alla speranza. E’ il modo scelto dai detenuti per salutare
Papa Francesco; in tarda mattinata, dopo aver visitato le Case Bianche (un
mastodonte di 447 alloggi, un migliaio di inquilini alla periferia est di
Milano), il Papa si reca a San Vittore.

Il programma prevede una visita in
alcune celle, colloqui con i detenuti, pranzo in carcere; gli hanno
preparato un menu tipicamente meneghino: risotto, cotoletta, patate, panna cotta.

E’ da credere che lo gradirà molto di più dei pasti al collegio di Santa
Marta; i detenuti faranno del loro meglio per servire un pranzo gustoso; ma e soprattutto per la “compagnia, i detenuti. Seguirà qualche minuto di
“siesta” ,nell’ufficio del cappellano. Un qualcosa di assolutamente
inedito: chi organizza la visita fa sapere che per trovare dei precedenti
si deve risalire ai primi secoli della cristianità, quando i Pontefici
venivano incarcerati durante le persecuzioni.

Scontato che per far bella figura San Vittore sia stato tirato a lucido,
“imbellettato”: muri riverniciati, porte e vetrate strofinate a fondo. In
fin dei conti è la prima volta in 138 anni che un pontefice varca la soglia
di questo carcere. Sono comunque particolari che a papa Jorge Bergoglio non interessano. Quello che a questo Papa preme è poter incontrare, parlare e ascoltare il maggior numero di carcerati possibile; non è per un caso che a loro dedichi la sosta più lunga – tre ore – della sua giornata ambrosiana.
E chissà se ne è consapevole: mentre lui visita il carcere, a Roma si
celebrano i sessant’anni dei trattati d’Europa.

Un’Europa che non è quella
sognata dai padri fondatori: non da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed
Eugenio Colorni, che vagheggiavano gli Stati Uniti d’Europa; ma neppure
l’Europa degli Adenauer, dei Churchill, dei De Gasperi, degli Schuman. Però
è ben vero che “Il Manifesto di Ventotene” viene elaborato e scritto al
confinio, una prigione a cielo aperto del regime fascista.

Luogo di pena – letterale – e di sofferenza, San Vittore: criminali
comuni e tossicodipendenti, malati di epatite e di AIDS, il 67 per cento
sono stranieri.

E, non vanno dimenticati, accanto ai detenuti, quelli che Marco Pannella chiamava i “detenenti”: gli agenti della polizia penitenziaria, e il personale del carcere, i cui ritmi di vita sono
massacranti quanto quelli dei reclusi. Verrà accolto con una poesia che i
detenuti hanno voluto comporre appositamente per lui: “…l’insolita visita
di un amico inatteso… intrecciando i suoi passi ai nostri”.

Il Papa rinnova, con questa visita, con quei gesti, con quanto certamente
dirà toccando le corde giuste dell’umano sentire, un “appello” che è quello di sempre: in perfetta linea con quel “Ero in carcere e siete venuti a
trovarmi”
che si legge nel Vangelo di Matteo.

Ricordate? Appena insediato, Papa Francesco compie due gesti simbolici,
ma di indubbio significato: abolisce la pena di morte, formalmente ancora
in vigore in Vaticano; introduce il reato di tortura. Da sempre invoca
l’abolizione dell’ergastolo. Nella giornata dell’Anno Santo dedicata ai
detenuti, “accoglie” i marciatori che sotto le bandiere del Partito
Radicale chiedono “Giustizia, Amnistia e Libertà”. Anche a lui, oltre che
al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si rivolgono oltre
ventimila detenuti “assetati di giustizia”, che per due giorni effettuano
uno sciopero della fame… Certamente sarà lì a San Pietro, la domenica di
Pasqua, ad accogliere i partecipanti di una nuova marcia, sempre per la
giustizia, l’amnistia, e a favore degli ultimi più ultimi.

Dice Mohammed, detenuto vai a sapere per quale motivo: “In genere vengo
considerato solo un criminale. Potrò mangiare con il Papa. Il suo è un
gesto straordinario: viene da noi, gli ultimi fra gli ultimi”. Si dirà che
un Papa che si comporta da uomo di fede, portatore di speranza e
misericordia, è cosa “normale”. Si: è “normale”; ma di questi tempi essere
“normali” è cosa straordinaria. E’ la spes contra spem che Pannella
invocava fino all’ultimo suo respiro. Una politica degna di tale nome ha di
che riflettere, da questi “gesti”, da questi comportamenti; dovrebbe
raccogliere questo messaggio, operare di conseguenza. Che non lo faccia,
non lo voglia fare, non lo sappia fare, è il segno dei pessimi tempi che ci
tocca patire.

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