#Giustizia: Migliucci (Ucpi): pm e giornalisti distruggono il processo per compiacere l’Anm

Intervista di Enrico Novi a Beniamino Migliucci, presidente Unione Camere Penali italiane pubblicata su Cronache del Garantista, 5 aprile 2015

“È tornato il metodo inquisitorio, ma senza garanzie”. Beniamino Migliucci, Presidente dell’Unione Camere Penali, spiega come ormai tutto avvenga al di fuori dal Codice di procedura. Ma a che processo andiamo incontro? Ma siamo sicuri che vige ancora la riforma del processo accusatorio, quella introdotta nel 1988? O non siamo già tornati all’inquisitorio, a quel tipo di sistema processuale che potremmo chiamare inquisitorio inconscio?”.
Il presidente dei penalisti Beniamino Migliucci mette insieme tutta la raffica di forzature, legislative e non, che hanno bombardato la giustizia in questi ultimi giorni: l’allungamento smisurato dei tempi di prescrizione, la divulgazione delle intercettazioni anche quando non sono rilevanti ai fini di prova e col chiaro scopo di influenzare sia l’opinione pubblica sia il magistrato che giudica, l’assoluta mancanza di controllo sui modi in cui le Procure gestiscono i tempi delle indagini. Miscelare tutto. E servire freddo, su un piatto d’argento. Ai pm, naturalmente. Che diventano sempre più arbitri della giustizia, di quella che viene inflitta ai comuni mortali, ai cittadini, non solo delle inchieste che colpiscono i politici. Insomma, il vertice dell’Unione Camere penali non ha esitazioni nel denunciare la svolta negativa, e incomprensibile, che il governo ha assunto su reati, pene e potere delle toghe. Dopo aver assecondato le pretese giustizialiste, avanzate direttamente dall’Associazione magistrati, su allungamento della prescrizione, falso in bilancio e aumenti di pena, forse resta un ultimo baluardo da difendere: i tempi delle indagini preliminari. Oggi quello è il campo in cui si registra l’arbitrio incontrastato dei pubblici ministeri. Se la politica non ne vuole fare dei tiranni, dovrebbe almeno avere uno scatto d’orgoglio e imporre per legge il rispetto dei termini delle indagini.

Che ne pensa, presidente Migliucci?

“Questo tra l’altro non sarebbe neanche uno scatto orgoglio clamoroso: la proposta del professor Fiorella, avanzata dalla commissione ministeriale da lui presieduta, prevedeva appunto che vi fossero dei termini anche per le indagini. Noi siamo abituati a indagini troppo lunghe, i cui termini sono ordinatori, o canzonatori, come dico spesso. Dovrebbero diventare termini veri”.

Anche in altri Paesi il titolare dell’accusa ha questa libertà?

“In certi Paesi se tu non riesci a fare nei tempi concessi delle indagini che ti consentano di esercitare l’azione penale, l’azione stessa si estingue, non si procede oltre”.

E adesso il governo che legge dovrebbe proporre?

“Segua proprio le indicazioni della commissione governativa. Il professor Fiorella le ha ribadite al convegno che l’Unione Camere penali ha organizzato martedì scorso: se si ritiene di intervenire sulla prescrizione con delle sospensioni che la allungano, si deve però rendere certi i tempi delle indagini. E, anche per replicare alla classica obiezione dell’Anm secondo cui alcune indagini sono particolarmente complicate e richiedono più tempo, io aggiungerei: proprio per questo già abbiamo proroghe di 6,12 o 18 mesi, per fare in modo che il tempo sia adeguato. Vogliamo raddoppiare? Raddoppiamo. Però poi basta”.

Altra obiezione della magistratura associata: la prescrizione per i reati di corruzione deve essere estesa perché spesso la notizia arriva in ritardo.

“Questo è anche il modo in cui si difendono dal rilievo, che noi spesso facciamo, sul fatto che il 70 per cento delle prescrizioni interviene nel corso delle indagini. Ma la tesi per cui le notizie di certi reati arrivano dopo un tempo eccessivamente lungo, in modo da avvicinare subito la prescrizione, che decorre a partire dal giorno in cui il reato viene commesso, bè, questa teoria è senza dimostrazione. Dovrebbero essere realizzate delle statistiche. Facciamole”.

Anche perché i pm chiedono pure di far decorrere la prescrizione dalla data in cui loro stessi iscrivono la notizia di reato.

“Appunto, a maggior ragione andrebbe dimostrato con i dati se esiste davvero questa necessità. Piuttosto, quello che andrebbe fatto subito è assicurare proprio la correttezza dell’iscrizione della notizia di reato: un giudice dovrebbe controllarla e, se scopre che l’iscrizione in realtà è stata retrodatata, dovrebbe annullare tutti gli atti successivi assunti dal pm, fino alla data a cui si può realmente associare l’iscrizione della notizia”.

È il meraviglioso regno del pubblico ministero, bellezza…

“Che con questa riforma della prescrizione diventa un regno sconfinato: tutto questo tempo in più andrà in parte ad allungare ancor di più il tempo in cui l’indagato resta schiacciato dall’inchiesta. Ma anche le sospensioni dopo le eventuali condanne in primo e secondo grado costituiscono un colpo durissimo ai diritti di chi è sotto processo, che spesso è sottoposto a sequestri preventivi. I danni possono diventare irreparabili, se il sequestro si protrae. E diventa anche più difficile per il giudice eliminare un precedente errore di valutazione. È come per la custodia cautelare, che inconsciamente può portare chi deve pronunciare la sentenza al seguente percorso mentale: se stabilisco che l’imputato è innocente, affermo anche che la custodia cautelare ha rappresentato un pregiudizio gravissimo in quanto ingiusto, a questo punto meglio non far emergere questo abominio. Ecco, le mirabilie di questa nuova prescrizione produrranno anche paradossi del genere”.

Il governo attenuerà la legge uscita dalla Camera.

“Vedremo, certo non è rassicurante il discorso che ho sentito fare in questi ultimi tempi: visto che non è possibile rendere brevi i tempi del processo, allora allunghiamoli, se no finiscono senza condanna”.

Che senso ha questa linea?

“Risponde alla logica del consenso. La prescrizione ha una sua dignità che è incontestabile, anche perché a cosa serve una condanna che arriva a 20 anni da un fatto? Certo non produce un effetto di deterrenza. Beccaria sosteneva: la soluzione deve essere vicina al fatto, altrimenti non dispiega i suoi effetti. Oltre che dall’articolo 111 della Costituzione, che imporrebbe la ragionevole durata del processo, ci allontaniamo anche dall’articolo 27: dopo vent’anni non sono forse una persona totalmente diversa? Ma forse tutto questo tempo infinito crea un problema ancora più grave”.

Quale?

“Ci stiamo allontanando dal processo accusatorio. Quando nasce il nuovo Codice, si prevede che le indagini siano brevi, perché la prova deve formarsi in dibattimento, in contraddittorio tra le parti. Ma se passano 4, 5 o 6 anni dall’inizio delle indagini si ritorna di fatto all’inquisitorio. Dopo tanto tempo il testimone che ricorda? È chiaro che in quelle condizioni il pm gli può contestare anche la virgola, e il testimone nel dubbio di una memoria rarefatta non corre rischi e si adegua alla verità che l’accusa pretende di fargli sostenere. Si sta affermando quel processo che spesso si definisce “inconscio inquisitorio”.

Ma non è che tutta questa sterzata giustizialista è la compensazione per aver leso la maestà dei giudici con la responsabilità civile?

“Mettiamola così: la politica in generale fa fatica a smarcarsi da quello che la magistratura associata propone, pare doversi giustificare in ogni occasione. Quando si discuteva della responsabilità civile l’Anm diceva: ci sono ben altri problemi, a cominciare dalla prescrizione. E allora la politica insegue i tempi che vengono dettati dalla magistratura, e rincorre anche 1’opinione pubblica. La politica non si è ancora affrancata totalmente dalla necessità di giustificarsi nei confronti della magistratura. Deve poter dire: questa norma piace anche al dottor Cantone o all’Associazione magistrati”.

Politica sotto tutela.

“È come se l’agenda politica debba essere nelle mani della magistratura, che rappresentando il bene sarebbe ontologicamente più vicina ai cittadini”.

Un mito paralizzante…

“Che viene rafforzato dalle inchieste sulla politica, ovviamente, anzi dalle notizie che non costituiscono reato ma colpiscono l’immagine dei politici: da Lupi a D’Alema. In questo modo si è sempre più costretti a chiedere il permesso ai magistrati, prima di fare le leggi. La politica ha dato troppe deleghe alla magistratura, sulla corruzione, sulla mafia. Questa delega si è irrobustita, anzi è stata blindata dal rapporto diretto tra Procure e stampa”.

Il potere dei pm aumenta grazie al gioco di sponda con i giornalisti.

“Certo. E dovremmo essere molto chiari, anche a proposito delle intercettazioni, su chi deve essere tutelato: non solo le persone non indagate, ma gli stessi indagati. E, in ultima analisi bisogna tutelare il processo”.

E come si fa?

“Vogliamo parlare di come viene colpito l’indagato con la diffusione di intercettazioni che non hanno valore ai fini di prova, ma servono a effondere attorno a lui un alone negativo? Ci vogliamo rendere conto che il condizionamento non solo pregiudica il giudizio che l’opinione pubblica può maturare su un certo esponente politico, ma la stessa idea che il giudice finisce per farsi dell’imputato prima ancora che inizi il processo”.

Cosa intende dire, presidente Migliucci?

“Torno sempre alla distruzione del processo accusatorio introdotto con la riforma del Codice. Quel modello prevedrebbe anche la verginità cognitiva del giudice. Il quale deve valutare le prove solo nel processo, in una condizione di parità tra accusa e difesa, secondo il principio dell’oralità della formazione della prova che richiede appunto la verginità cognitiva del giudice. Se quest’ultimo si è già fatto un’idea attraverso le intercettazioni, che si fa a fare il processo?”.

Il nodo è tutto nella diffusione delle intercettazioni.

“Gratteri propone il reato di pubblicazione: il problema è chi dà le intrercettazioni ai giornalisti. E poi le norme del codice che imporrebbero il segreto esistono già. Invece di dire mettiamo in carcere i giornalisti, rendiamo effettive quelle norme. Gratteri dichiara implicitamente che oggi effettive non lo sono affatto”.

Un esempio?

“L’articolo 269 del Codice di procedura penale, che esprime un concetto molto forte: quando la documentazione non è necessaria per il procedimento andrebbe distrutta. Ora, se quella documentazione, quei brogliacci, sono usciti dall’ufficio, qual è la sanzione? Mi verrebbe da suggerire una provocazione”.

Siamo qui apposta.

“Nel disegno di legge anticorruzione è stata introdotta la diminuzione della pena per chi dà un contributo alle indagini. Perché non introduciamo un premio al giornalista che dice chi gli ha dato le intercettazioni? Ne vedremmo delle belle”.

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