Papa condottiero, tanti i no ai diritti: aborto, contraccezione, sessualità, gay, parità femminile. Lui poté tornare liberamente alla casa del Padre mentre per Piergiorgio Welby si negarono i funerali …
di Valter Vecellio
Meglio dirlo subito, avvertire il lettore: non ho titoli particolari per parlare di papa Karol Wojtyla. Non sono vaticanista professionale, non sono testimone di eventi particolari “prima”, “durante”, “dopo” il pontificato.
So poco di stanze vaticane, dei labirinti della diplomazia di Pietro, della corte di quel regno quanto mai terreno dove si coltiva l’arte del dire senza parlare, del fare senza muover muscolo e in cui sono insuperabili cardinali e monsignori; e quel poco, chissà se bene.
Qualcosa tuttavia credo di averla capita. La prima è che con i papi si può anche scherzare, al pari dei santi; a patto però di farlo seriamente. Dei papi di cui ho memoria, e di cui ho letto e ascoltato dai miei colleghi che per professione li seguono (si può cominciare con papa Angelo Giuseppe Roncalli, fino all’attuale Jorge Mario Bergoglio), si possono raccontare una quantità di “privati” e gustosi episodi; debolezze umane, simpatie, limiti e pregi…Tutti comunque importanti per la Chiesa cattolica; giunti, si può dire, al momento opportuno, quando era giusto ci fossero. Li si può discutere, e vanno discussi, beninteso; ma hanno pesato, inciso.
Karol Wojtyla, dunque: papa condottiero, s’usa dire; definizione esatta, calzante. Certamente abile, conosce il suo mondo; magari quand’è “semplice” cardinale, di lui in Vaticano si ha la stessa caricaturale opinione che mostra di avere il protagonista di “All in the Family”, Archie Bunker del genero polacco; ben presto però ci si deve ricredere. Wojtyla dimostra quale sia la sua tempra, indomito, determinato; abilissimo comunicatore. Quel suo “Se sbaglio, mi corrigerete”, pronunciato dal balcone di piazza San Pietro il giorno dell’elezione è storia; come la festosa carezza ai bambini di papa Roncalli; o il ben più drammatico appello agli uomini delle Brigate Rosse di papa Montini. Parole che sono gesti; gesti che rimangono scolpiti nelle menti e nei cuori. Poi, sì: in rapidissima carrellata di Wojtyla si ricorda l’espressione dolorante quando è raggiunto dai colpi di Alì Agca; lo ricordiamo nelle fotografie rubate mentre è in piscina a San Pietro, o mentre scia; lo ricordiamo che interviene in diretta alla trasmissione di Bruno Vespa… E’ lui uno dei registi dell’operazione Solidarnosc, il sindacato che parte dai cantieri di Danzica, e alla fine travolge il regime comunista polacco; è a lui, e Ronald Reagan e a Margaret Thatcher, che si deve la dissoluzione dell’impero comunista sovietico…Sì, in questo Wojtyla è stato un grande “visionario” e condottiero. Forgiato alla dura, oppressiva e opprimente scuola del comunismo reale, allievo di Stefan Wyszynski primate di Polonia che svolge un ruolo fondamentale negli anni della guerra fredda; secondo alcuni, è proprio Wyszynski che indica Wojtyla, come possibile successore di papa Albino Luciani. Poi, certo, come tutte le grandi figure, con le luci, le ombre; anche pesanti: l’indifferenza per le vicende che per la chiesa cattolica sono una piaga che sanguina ancora: la pedofilia; il nessun intervento a proposito dei Legionari di Cristo di Marcial Maciel Degollado, che Joseph Ratzinger definisce “falso profeta”.
Ma vanno ricordati anche i rapporti con il dittatore cileno Augusto Pinochet, la visita pastorale in Cile del 1987 e quel pubblico abbraccio…hai voglia di metterci una toppa ricordando l’invito ai cattolici cileni “a muoversi verso la democrazia”… C’è anche quella lettera di solidarietà quando Pinochet viene arrestato in Gran Bretagna per essere estradato in Spagna, e le pressioni sulle autorità inglesi per bloccarne il processo di estradizione. C’è il sempre presente Paul Marcinkus, uomo di mille tresche e segreti, protetto dal e in Vaticano, alla fine fatto riparare negli Stati Uniti, dove ha potuto finire i suoi giorni giocando a golf a Sun City in Arizona, come un ricco pensionato…C’è il rigido atteggiamento sui diritti civili, la netta chiusura, si tratti di aborto, contraccezione, sessualità, gay, parità femminile… no, da quell’orecchio Wojtyla proprio non ci sente, non vuole sentire; e men che mai, per esempio di “teologia della liberazione”: ne sanno qualcosa i sacerdoti e i gesuiti sud americani, e perfino monsignor Oscar Romero, ucciso mentre celebra messa a San Salvador, perché si batte per i diritti degli ultimi; e valga, per capire la significativa, lunga, sofferta anticamera che Wojtyla impone a Romero, prima di riceverlo.
Ma qui sono tre gli episodi su cui vglio richiamare attenzione, perché altri quasi certamente non lo faranno.
C’è una fotografia, a suo tempo pubblicata dal “Corriere della Sera”, è lo stesso Wojtyla a sceglierla, e volere che sia pubblicata. Sono in tre: lui, naturalmente; e Marco Pannella ed Emma Bonino. Trent’anni fa. Pannella e i radicali sono impegnati con tutte le energie nella campagna contro lo sterminio per fame nel mondo. Riescono a imporre che l’Italia elevi all’1 per cento del suo PIL la somma destinata per limitare in parte quel flagello; impongono all’agenda politica di allora l’intollerabilità di un mondo che condanna milioni di persone a morire di fame e malattia; vogliono scuotere il mondo sazio dalla sua inerzia e indifferenza; Pannella ha appena buttato, su un pezzo di carta, scritto a mano, di getto, ma a lungo pensato, il testo di un appello: è un manifesto politico che indica con precisione cosa fare, come farlo e chi deve; questo testo viene sottoscritto da oltre un centinaio di premi Nobel: una bella storia, che ancora nessuno ha raccontato compiutamente. Una storia di digiuni, manifestazioni, marce: le famose marce da Porta Pia al Vaticano: Cesare che va da Pietro; in quell’occasione il presidente Sandro Pertini invoca il famoso: “Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai”. Quella fotografia: Wojtyla sembra essere in secondo piano, rispetto a Pannella e Bonino, e per probabilmente per questo l’ha scelta, è quello il messaggio che intende mandare. Una fotografia storica: la religiosità laica e quella cattolica che convergono su un obiettivo concreto, a dispetto di apparati di entrambe le parti del Tevere che faticano a comprendere, proprio perché tutto è così “semplice” e visibile.
L’altro episodio è quello che vede Wojtyla entrare nel palazzo di Montecitorio, le Camere sono riunite in via straordinaria; lì, in quella sede solenne il pontefice chiede, invoca un gesto di clemenza per gli ultimi tra gli ultimi: i carcerati; e forse porta il ricordo di quel detenuto malato di AIDS incontrato durante una visita a Regina Coeli, che chiede conforto, e poco dopo muore stroncato dal male. Clemenza, invoca; e tutti, tutti!, applaudono; per poi, il giorno dopo, tetragoni continuare nel meschino pio-pio e bla-bla; e anche lì, le due religiosità si incontrano: è ancora Pannella, ancora Rita Bernardini, ancora i radicali, a lottare per quella “clemenza” invocata, applaudita, negata.
Il terzo episodio, infine. Wojtyla è allo stremo, agonizzante, lo sa, lo sente; con quel po’ di fiato che gli resta in gola, chiede, invoca, misericordia: per lui, questa volta: “Lasciatemi tornare alla casa del Padre”, sussurra. Vuole esser liberato dal peso di una vita che non è più vita, vuole che non ci si accanisca su un corpo che è la larva di un corpo. Lo accontentano, infine. Lo lasciano andare. Lui può andare, e lo si venera come santo. Lasciatemi andare, invoca tempo dopo Piergiorgio Welby, e trova alla fine una mano pietosa che glielo consente, lo aiuta, lo “libera”. Una curia tetragona guidata da Camillo Ruini che chissà in che girone dantesco è destinato a finire, nega il funerale religioso in una chiesa; si svolgerà in piazza. A piangere e pregare, non per un caso, ci saranno tra i tanti, delle suore. Questa possibilità di “poter tornare alla casa del Padre”, per chi crede; di poter essere liberati per chi ha diversamente fede, è ancora da conquistare.