Onora la madre, il libro di Angela Iantosca

OnoraLaMadre

Da donne che valgono meno di una mucca a donne di potere

di Giuseppe Candido

Come è cambiato il ruolo della donna nella ‘ndrangheta negli ultimi cinquant’anni? Asse portante della ‘ndrangheta perché, nei decenni, nascosta all’ombra delle case, è la donna che ha nutrito, tramandato, gestito una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo. Onora la madre, storie di ‘ndrangheta al femminile, è l’ultimo libro inchiesta della giornalista Angela Iantosca. Un viaggio in quella Calabria poco conosciuta ma declinabile al femminile, attraverso documenti, riti, tradizioni, fede, virgolettati dei pm, di storici e nel sentito popolare della gente. Sabato 22 giugno Angela ha presentato il suo nuovo libro fresco di stampa, assieme ad Enzo Ciconte, che ha presentato il suo “Politici malandrini”, entrambi editi da Rubettino. Ad intervistarli nella saletta della libreria Ubik di Catanzaro Lido, il commercialista e amico degli autori, Roberto Garieri che subito chiarisce: due libri sulla ‘ndrangheta intesa non come prodotto! Ma la vera novità è il primo dei due volumi perché, a parere di chi scrive, tratta un tema, quello del ruolo delle donne nel fenomeno ‘ndrangheta, assai più controverso e spinoso di quello delle “convivenze tra politica e ‘ndrangheta esportate ormai in tutta Italia” e di cui numerosi autori si sono occupati.

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Angela Iantosca, Roberto Guarieri, Enzo Ciconte

Angela Iantosca continua ricordando che “Giuseppina Pesce è una donna di poco più di trent’anni cresciuta in una famiglia particolare, in un ambiente particolare che è quello della Piana di Gioia Tauro. Ma oggi c’è un elemento in più, che prima non c’era, che è internet. Una finestra sul mondo”, la definisce l’autrice. Una finestra in più tramite la quale “le donne della ‘ndrangheta possono entrare in contatto con una realtà sana che può spingerle a parlare e a raccontare le loro storie alla magistratura. Come è il caso di Giuseppina Pesce, ma anche della testimone di giustizia Facciola. Entrambe, tramite Facebook avevano conosciuto degli uomini. La cosa interessante però”, sottolinea Iantosca, “non è l’aspetto dell’attrazione sessuale per un’altra persona, quanto quello di essere viste, per la prima volta, come persone. Perché uno degli elementi che si trova all’interno della ‘ndrangheta è la violenza, sia psicologica che fisica, esercitata continuamente da padri, da fratelli e da mariti. Con la convivenza dei medici che tolgono i problemi fisici senza permettere a queste donne di denunciare”. Tramite internet, spiega ancora la Iantosca, queste donne “conoscono delle persone che le guardano, appunto, come “persone”, come donne, e “non come degli oggetti di cui si è possessori”. “La questione delle donne”, aggiunge la giornalista, è una questione “abbastanza complessa”, nel senso che “non si può parlare di un tipo di donna”. “Le donne calabresi della ‘ndrangheta, in particolare, rispecchiano perfettamente quella che è l’agiografia della Calabria. Nel senso di una terra estremamente frammentata, dove è difficile raggiungere i vari posti e la stessa cosa si vede all’interno delle diverse famiglie. Ci sono donne emancipate, donne che hanno studiato, ma ci sono ancora donne retrograde, donne vestite di nero, donne che arrivano scalze fino alla Madonna di Polsi. Ma non necessariamente, quelle donne che si vede vestite di nero, sono donne di ‘ndrangheta ma altrettanto non necessariamente quelle donne emancipate sono le donne sane”. Per l’autrice possono essere molto più ‘ndranghetiste le donne emancipate delle donne vestite di nero. Sono donne che, se fino agli anni ’70 sono rimaste all’ombra delle case, occupandosi soltanto dell’educazione dei figli, che è un compito fondamentale, in quanto sono state loro a tramandare di generazione in generazione i valori dell’“Onorata”, diciamo che dagli anni ’70 in poi, invece, le donne iniziano a diventare operative. Prima portando da mangiare alle persone sequestrate, fino a diventare, negli anni ’80 e ’90, strettamente funzionali attraverso diversi ruoli. Abbiamo visto le donne “postine”, le donne “usuraie”, le donne che si occupano anche dello spaccio della droga. Alla fine degli anni ’70 abbiamo la Ferraino che si trasferisce a Milano e usa i figli per controllare lo spaccio della droga nella città. Già negli anni ’70 parliamo della presenza della ‘ndrangheta a Milano. Adesso ne vengono fuori altre. Basti pensare al processo “All inside 3” durante il quale s’è saputo che nel 2007 una donna, che poi venne incarcerata, era a capo della famiglia e dei clan degli “Ascone” di Rosarno. Una donna che non aveva una funzione collaterale, ma è lei a prendere le decisioni. Perché moglie di un marito, evidentemente, abbastanza debole. Ed è lei che è intestataria deo beni, è lei che si occupa dell’usura, che si occupa del racket. Quindi una donna di potere. C’è solo una cosa però che, probabilmente, le pone allo stesso livello dell’uomo. È il riconoscimento di questo ruolo da un punto di vista formale. Ma la vera domanda, secondo Angela Iantosca, è se tutto questo è necessario. È davvero necessario? Ok alla struttura maschilista della ‘ndrangheta che è innegabile, ma queste donne hanno davvero bisogno di essere “tingiute” per essere riconosciute come donne d’onore? Secondo l’autrice, per queste donne !è il loro stesso essere madri, figlie, sorelle e mogli di uomini d’onore, le rende donne d’onore”. Da cui il titolo del libro: Onora la madre.

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Angela Iantosca, Roberto Guarieri durante la presentazione di Onora la madre.

E quindi Angela Iantosca risponde a quella che era la prima e più spinosa delle domande: è giusto togliere a queste donne, come per gli uomini d’onore, la patria potestà? “Se da una parte ci sono le donne della scelta negativa, donne che si sono accorte che il potere è bello, perché ti fa stare bene, perché è bene essere ricche, e probabilmente alcune di queste si rendono conto di essere più capaci di questi uomini, e vogliono dimostrarlo nei fatti, dall’altra parte ci sono le donne che stanno compiendo la loro rivoluzione attraverso le parole”. Donne che “iniziano a parlare e iniziano a collaborare”. E per questo rappresentano l’altra scelta: quella della giustizia. “Ancora pochi i casi positivi, come quello di Giuseppina Pesce e di cui i PM continuano a chiedere che ne venga raccontata la storia positiva, perché”- aggiunge Iantosca – “ Sono storie che possono innescare un effetto domino e quindi, in qualche modo, spingere e dare fiducia ad altre donne e far capire loro che una scelta è possibile. È possibile uscire da quel sistema, pur nella consapevolezza che, nel momento in cui tu parli, hai su di te una condanna a morte. I figli sono il motivo per cui queste donne cominciano a parlare. La proposta che è stata fatta, quella di sottrarre i bambini, è una provocazione e non risolve il problema assolutamente. E soprattutto, se si fa un calcolo proprio in termini numerici, sarebbero migliaia di bambini da spostare da delle famiglie. Prima di tutto, questi bambini dove verrebbero messi? E poi sarebbero altri sradicati con altre problematiche da risolvere e non risolve il problema di chi c’è. Di chi rimane. E poi non è neanche detto che queste persone non facciano altri figli. È un cane che si mangia la coda. Sicuramente, ad alcune persone è stata tolta la patria potestà come Carlo Cosco, il compagno di Pina Garofalo, cui è stata tolta la patria genitorialità della figlia Denise. Ha ammazzato la madre, anche se dice di averlo fatto per un impeto d’amore. Al di la del discorso pragmatista, il problema è un problema culturale che va al di la della ‘ndrangheta. Proprio nei giorni scorsi ho incontrato una donna della Carapogia, che è un paese che si trova nel cuore dell’Uganda. La situazione culturale e proprio la struttura della disposizione della donna rispetto all’uomo, è simile, purtroppo, ad alcuni discorsi che ho sentito in alcune zone della Calabria. Penso, appunto, alle donne della Locride, alle donne di San Luca, e una di queste è la ragazza a cui ho dedicato il libro. Anche in quel caso, nel momento in cui qualcuno dall’esterno gli ha aperto gli occhi, loro sono arrivate ad una consapevolezza e a rendersi conto del sistema sbagliato nel quale vivono dove addirittura, in quel caso, la donna è inferiore ad una mucca rispetto ad un uomo. Dove è naturale e viene, appunto, naturalmente subita perché è così da sempre. Ecco perché, ritengo che bisognerebbe fare un lavoro culturale sulle donne”.

Gli facciamo una sola domanda: mentre si parla di violenza sulle donne e di femminicidi, ha avuto modo di constatare segni dell’efferatezza criminale delle donne? La risposta è agghiacciante: se un uomo d’onore ti minaccia di morte non è sicuro che la esegua. Se lo fa una donna, quella è una sentenza.

Link alla registrazione

parte dell’intervento di Angela Iantosca

 

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