di Giuseppe Maria Matina
Un buon padre di famiglia è colui che, capace di osservare attentamente il presente, riesce a vedere dove esso si diriga, quali tempeste o bonacce si preparino e si dispone al peggio per affrontarle, costruendo fortificazioni e mettendo da parte il necessario.
E se, invece o nello stesso tempo, intravede opportunità di crescita, si attrezza per non lasciarsele sfuggire, programma interventi correttivi della direzione di marcia in vista di un miglioramento possibile di condizione per sé e per coloro verso cui è responsabile.
Non credo che la complessità – apparente o sostanziale che sia – del nostro presente possa confondere a tal punto le idee da farci perdere di vista la bontà di questo principio fondato sul senso comune che quotidianamente ispira le sagge azioni umane: la previdenza.
In relazione alla problematica del lavoro in Calabria, un’osservazione attenta ci parla di una questione secolare da collegare al sottosviluppo economico del meridione italiano in generale.
Le ragioni storiche di questo sono già state ampiamente descritte dalla letteratura meridionalista, ma i tentativi di imprimere una svolta decisa e definitiva da parte dei governi che hanno inteso cimentarvisi, sono risultati vani. Cosicché il divario di partenza tra nord e sud del paese, pur avendo conosciuto periodi di maggiore o minore accentuazione, ha continuato a manifestarsi secondo un trend costante. L’attuale negativa congiuntura economica, rebus sic stantibus, ovviamente aggrava un quadro già di per sé precario, determinando sofferenze pericolose in un tessuto sociale già debole sotto il profilo della capacità di reazione motivazionale oltre che morale e civile.
A mio avviso, in questo contesto, concentrare gli sforzi su provvedimenti puramente emergenziali, di tutela o di creazione di “astratti posti di lavoro”, rischia di risultare addirittura controproducente se non ci si chiede, innanzitutto, quali posti di lavoro salvaguardare o inventare.
Perché la crescita sia strutturale e stabile, è necessario, infatti, fissare una rotta tenendo conto, da una parte, delle esigenze primarie e, dall’altra, delle nuove opportunità che si presentano.
Per brevità di esposizione, faccio solo due esempi. Uno riguardo ad esigenze primarie ed uno relativo alle nuove opportunità.
1 – La tutela del territorio appare, oggi, alla luce del dissesto urbanistico ed idrogeologico che minaccia la sicurezza di larghe fasce di popolazione calabrese una priorità imprescindibile oltre che una necessità economica: investire in prevenzione piuttosto che essere costretti a dispendiosissimi interventi “curativi” che alla fine, per mancanza di risorse, si rivelano, al più, solo “lenitivi”.
La rottamazione degli edifici che non rispettano le norme antisismiche, così come l’elaborazione di un piano di canalizzazione delle acque per impedire lo sbriciolamento franoso del terreno, sembrano, anche agli occhi di un profano, provvedimenti di buon senso che, oltre al pregio di essere economicamente vantaggiosi, hanno anche quello di richiedere un rilevante impiego di forza lavoro.
2 – Quello delle energie alternative è un settore di rilevanza strategica che avrebbe, anch’esso, una ricaduta positiva nella creazione di reddito. L’energia solare e quella eolica – in particolare, ma non solo -, naturalmente disponibili, richiedono di essere trasformate a beneficio della comunità. L’attuale legislazione in materia consentirebbe il coinvolgimento di molti nell’attività di produzione, ma l’informazione a riguardo è del tutto insufficiente e la burocrazia connessa scoraggia pesantemente chi intenderebbe accostarsi a tale occupazione. Il risultato, per ora, è che soltanto chi ha a disposizione strumenti finanziari e organizzativi riesce a sfruttare questa opportunità.
L’ostacolo potrebbe essere superato, in ambito regionale, diffondendo informazioni semplificate, mettendo a disposizione dei cittadini un servizio di disbrigo delle pratiche necessarie, costituendo un fondo di prestito agevolato. Molti piccoli proprietari, in questo modo, anziché accontentarsi di affittare i loro terreni ad imprenditori – magari spagnoli, tedeschi o padani – a prezzi irrisori, potrebbero avviare un’ attività produttiva in proprio.
Un buon padre di famiglia – ovvio – deve prioritariamente voler essere tale, non essere distratto da propositi differenti rispetto a quelli assegnati al suo ruolo, che non è tanto quello di perdurare in una posizione di dominio o di proclamare guerre per sconfiggere i “clan” ritenuti nemici, quanto quello di contribuire, secondo le sue capacità, alla costruzione di un futuro migliore per sé e per gli altri. Nel contesto in cui ci troviamo, possiamo dare ciò per scontato? Purtroppo, non mi sembra.